sabato 17 ottobre 2015

Non ci sono domande che non si possono fare

Armstrong in casa sua
Armstrong in casa sua
Come ha potuto un uomo ammalarsi di cancro, guarire e diventare il ciclista più forte, il più grande di sempre al Tour de France vincendone addirittura sette. Come ha fatto a essere santo per il proprio sostegno alla ricerca contro i tumori e allo stesso tempo peccatore, lui che il sostegno per sé lo succhiava dalla chimica, sparandosi in vena prodotti sofisticati per cambiare il fisico, stravolgere la natura e andare più forte degli altri. Questa è la storia di una favola sintetica, di una bugia a cui era bello credere e dei suoi frantumi: la trasformazione di Lance Armstrong da icona a diavolo. Sembrava seta ed era viscosa. "The Program", regia di Stephen Frears, racconta gli anni del dominio del texano sulle strade di Francia e delle sue pratiche proibite, il suo piano di elusione dei controlli, l'impasto di protervia opportunismo e complicità grazie al quale poteva affermare: "Sono pulito, non sono mai stato trovato positivo all'antidoping".
programÈ anche la storia dell'uomo che non gli ha mai creduto, uno dei pochi, il giornalista irlandese David Walsh, che ha dedicato tredici anni della sua vita a verificare indizi, a raccogliere testimonianze, a cucire le prove dell'inganno. Il film nasce dal libro con cui Walsh ha ripercorso la sua battaglia a tutto campo, anche legale a un certo punto, contro Armstrong e il mondo del doping: "Seven Deadly Sins" è uscito la settimana scorsa nella traduzione italiana (editore Sperling £ Kupfer) con lo stesso titolo del film. "Non provo risentimento verso nessuno", dice lo scrittore al telefono dalla sua casa di Londra, "e non provo alcun senso di rivincita. La storia di Armstrong colpiva, il mondo gli credeva, io no, io volevo liberare la gente da quest'impostura". Lance crollò sotto i colpi dell'agenzia antidoping statunitense (Usada) che nel frattempo indagava su un caso minore: erano cadute le coperture e tanti fra quelli che gli stavano vicino s'erano decisi a uscire allo scoperto. Eppure da anni c'era già tutto negli articoli per il Sunday Times e nei libri di Walsh. "Sono arrivato a odiare la parola: riabiltato. Non avevo bisogno che mi dicessero quello che già sapevo. Ho fatto tanta fatica, anche se ora non la sento più. Avevo pochi amici intorno a me, ma tutti quelli che mi interessavano. È stato il mio caso Watergate. Ho passato del tempo con tante persone giuste, ho smesso di fare domande stupide in conferenza stampa: ho perduto la mia innocenza, certo, ma un giornalista sportivo non è un tifoso con una macchina per scrivere. Era il lavoro che sognavo da ragazzino, è stato un privilegio seguire certi avvenimenti, poi arriva un momento in cui non hai più sedici anni". Walsh lavora ancora al Sunday Times e si occupa sempre di sport. Si definisce un veterano stremato. "Non ho più le stesse energie ma conservo gli stessi desideri. Non credo che il mio lavoro sia tenere il conto delle medaglie del mio Paese alle Olimpiadi. Se fossi rimasto dentro questo solco, sarei un cattivo giornalista. Credo che conti spiegare come si arriva alla vittoria, se sei stato leale, se hai rispettato l'etica. Il ruolo del giornalista sportivo è affliggere quelli che stanno troppo comodi e confortare gli afflitti. Mi interessa questo adesso, mi sto dedicando alle storie degli atleti paralimpici". Rimase isolato, fu a un passo dal dimettersi perché la legge inglese sulla diffamazione gli legava le mani e bisognava firmare una dichiarazione di scuse ad Armstrong. Gli davano dello scettico proprio le persone che allargavano le braccia e dicevano: così fan tutti. "Ero scettico su Armstrong per non diventare cinico come tutti. Le domande che all'epoca rivolgevo a lui, oggi andrebbero fatte non più a singoli corridori, ma alle squadre. Ai kazaki dell'Astana, per esempio". È la squadra per cui corrono gli italiani Aru e Nibali. "Una squadra che ha avuto probleni di doping, vorrei conoscere la loro filosofia etica. Nibali è bravo, mi sembra credibile, ma di più non so dire. E nel vederlo duellare alla pari con Contador, non sono troppo sicuro di Aru. Non mi pare che l'Italia abbia sviluppato una grossa cultura dell'antidoping, i danni fatti dalle pratiche del dottor Ferrari al vostro sport sono stati considerevoli. Ma avete Sandro Donati, che con il suo lavoro pulito dimostra che un'altra via è possibile. Le autorità italiane farebbero bene a sostenerlo. Il doping è un mostro a cui tagli la testa una volta senza avere la certezza che non gli ricresca". Forse il film piacerà ad Armstrong più di quanto gli siano piaciuti i libri di Walsh. L'interpretazione di Ben Foster è straordinaria. Il film mostra le corse come fossero scene di guerra, poi riconosce al texano la sincerità dell'impegno accanto ai malati di cancro con la fondazione Livestrong e inserisce le sue colpe dentro quelle di un sistema intero. Walsh è meno tenero. Ha dovuto fronteggiare minacce e pressioni. Nel libro parla di "cinico sfruttamento della malattia da parte di un uomo che si è servito di quelle che potrebbero essere giudicate opere buone come di uno scudo per sviare gli inquirenti". E ha scritto: "Verrà anche il suo tempo delle lacrime". Gli è piaciuto l'attore Chris O'Dowd nei suoi panni. "Ci siamo parlati per due giorni, ci siamo mandati centinaia di sms, lui ha letto tutti i miei libri. Voleva fare il giornalista, questo lo ha aiutato...". Su Twitter Armstrong e il vecchio manager Bruyneel rivendicano tuttora "con orgoglio" i titoli cancellati. Walsh dice che non li segue, "non vado a leggere, la vita è troppo breve, di cosa dovrebbero essere orgogliosi dinanzi ai loro figli: di avere introdotto la droga nella loro squadra?". La sceneggiatura ha ignorato le pagine più intense del libro, quelle in cui Walsh spiega con pudore com'è nata la svolta nel suo lavoro. Di rientro dall'aeroporto, al telefono lo avvertono che suo figlio John, dodici anni, ha avuto un incidente in bici sotto casa. Pare si fosse sporto per capire se papà era già tornato. Nel suo percorso di elaborazione del lutto, lo scrittore va a parlare con gli insegnanti di John, e scopre aspetti che ignorava. In classe, a proposito della vita modesta della famiglia di Gesù a Nazareth, il ragazzino aveva chiesto: "Se erano così poveri, che cosa ne avevano fatto dell'oro che gli avevano dato i tre Re Magi?". Questa è la domanda che Walsh ha scolpito nella testa, questo il suo nuovo schema professionale. "A un giornalista non deve interessare la popolarità. Questo lavoro è fare domande. Ho foto di John alle pareti in tutta la casa, le guardo ogni giorno, mi domando che uomo sarebbe oggi, che carattere avrebbe. Mi piace parlare di lui. È stato la mia fonte di ispirazione. Senza saperlo mi ha insegnato a non aver paura di niente. Dubita di tutto. Chiedi cosa fecero Maria e Giuseppe con l'oro". Armstrong venne incastrato il 22 ottobre 2012. Nel giorno del compleanno di John.



(uscito su Il Venerdì di Repubblica il 9 ottobre 2015)

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