giovedì 15 ottobre 2015

Com'era il futuro di Ritorno al futuro

Quando nei giorni di Natale del 1989 entrammo al cinema per il seguito di Ritorno al futuro - all'epoca non si diceva ancora sequel, non mi pare - ci trovammo davanti agli occhi l'idea che avevamo dei nostri giorni a venire. Pareva finanche credibile quella visione, ma come diceva il dottor Brown "nessuno dovrebbe sapere molto del futuro", e infatti a riguardare adesso il film noi niente sapevamo. Il 21 ottobre del 2015, giorno in cui Doc e Marty Mc Fly ci piombano addosso dal passato a bordo di una DeLorean trasformata con un generatore di fusione, è ormai arrivato.

Ritorno al Futuro scherzava con la fantascienza. Bob Gale, sceneggiatore di questo giocattolino finanziato con alcuni milioni di dollari da Spielberg, qualcosa ha indovinato e a qualcos'altro s'è avvicinato. La diffusione del wireless, i televisori a schermo piatto, i telefoni che non servono solo a telefonare. Tutto questo c'era nel film e davvero ce l'abbiamo. Così come davvero esistono serrature che si aprono con le impronte digitali. In qualche caso erano stati intuiti i bisogni, ma sono stati sbagliati gli oggetti. I libri con le pagine di carta anti-polvere sono diventati i nostri ebook. Altre volte ancora ci siamo spinti troppo avanti noi. Se nel 2015 di Hill Valley, California, in strada si aggirano cani condotti da guinzagli driverless, nel nostro 2015 senza autisti alla guida abbiamo i vagoni della metro. La forza di una previsione forse sta proprio nel suo margine d'errore. Tipo la Pepsi che costa 50 dollari. Quando invece il film di Zemeckis ci prende in pieno, a noi spettatori d'oggi non fa neanche effetto, come la corsa in taxi pagata con un aggeggio che assomiglia al nostro pos: eppure all'epoca il bancomat esisteva da pochissimo. Ritorno al Futuro II immaginava automobili volanti, officine meccaniche in cui il lavoro sarebbe stato svolto da robot e skateboard aerei. Le scarpe della Nike che si allacciano da sole sono davvero state prodotte, qualche anno fa, anche se in edizione limitata, per finanziare la fondazione J. Fox e la ricerca sul morbo di Parkinson, mentre il giubbotto che con una cordicella regola la taglia in base a chi lo indossa rimane una meravigliosa utopia per il nostro metabolismo stravolto.
I giornali sono riusciti a resistere, anche se quelli immaginati nel film ancora pubblicavano notizie (battuta). Il sistema giudiziario non s'è sveltito e non è cambiato: gli avvocati esistono ancora. Ma che le poste fossero lente lo dicevamo trent'anni fa e pure adesso. L'ipotesi di avere nelle sale "Lo Squalo 19" non s'è realizzata, però il concetto era giusto, la strada che segue l'industria dell'intrattenimento è questa, visto che contiamo undici Halloween, nove Nightmare, otto Harry Potter, sette Fast & Furious, sei Rocky e sei Guerre stellari, più un settimo episodio in arrivo. La serialità è anzi diventata una colonna su cui si regge la nostra vita contemporanea. Se non è seriale, un'idea non si diffonde, un tema non si impone. Lo stesso Zemeckis diceva nel 1989: "Ho già capito che vogliono affidarmi un numero quattro perché qui tutti gradiscono dormire tra due guanciali e non rischiare più. Questa è la trappola da evitare, questo non mi porterà a dimenticare le mie regole di professionista". Bob Gale invece si sarebbe messo a lavorare per la serialità della Marvel. Se Zemeckis fosse salito sulla Delorean del dottor Brown, per sé avrebbe visto che al posto del quarto episodio della serie (il terzo era già stato scritto quando uscì il secondo) gli sarebbero toccati Forrest Gump, Cast Away, A Christmas Carol. Avrebbe visto l'Oscar e la nuova tentazione che gli stanno proponendo: il sequel - oggi non si dice più il seguito - di Chi ha incastrato Roger Rabbit. Non gli è andata male, diciamo la verità, benché all'epoca scherzasse sul fatto che passava "per il regista che lavora solo quando lo chiama Spielberg".
Certo, nei pub non si vedono ancora cyclette su cui pedalare mentre si mastica, in modo da bruciare calorie in tempo reale, o forse sono io che frequento i pub sbagliati. Dove Zemeckis e i suoi hanno sbagliato proprio tutto è nell'ambito a loro più vicino, nella loro metà del campo, dove avrebbero dovuto farci da maestri. Il gioco elettronico. Nel prevedere che per i nostri videogame avremmo fatto a meno delle mani ("roba da vecchi"), vanno fuori strada. La vera grande trasformazione qui c'è stata nel passaggio dalla generazione delle manopole a quella dei pulsanti, fino ad arrivare oggi a quella dei pollici. Solo le chitarre del 2015 erano immaginate uguali a quelle degli anni '80, segno che certe magie forse non possono cambiare. John Frusciante era appena entrato nel gruppo, i Red Hot Chili Peppers non erano ancora esplosi con Blood Sugar Sex Magik, ma con Mother's Milk cominciavano a farsi conoscere, e Flea nel film di Zemeckis faceva Needles.



L'http non esisteva e Zemeckis non lo previde. Tutta la sua visione del futuro è basata sugli oggetti. Forse è questo l'errore più grave del film, oddio, capiamoci, grave entro certi limiti: nessuno s'è fatto male. Ma Ritorno al Futuro II non guardava dentro il software della società, dentro le nostre relazioni cambiate, i nostri diari e i nostri nuovi pensieri in 140 caratteri. Ritorno al Futuro II non colse la messa al bando della complessità, il viaggio che stiamo facendo verso la semplificazione di ogni struttura. Non la colse perché non se ne interessò. Era un giocattolo. O forse il futuro è più banale di come lo immaginavamo. O forse la colpa non è neppure del futuro, ma della nostra fantasia. Ah, un'ultima cosa. Nel 21 ottobre 2015 immaginato trent'anni fa pioveva, almeno in California, e le previsioni del tempo si azzeccavano al secondo. L'unico fascino del passato è che è passato, come diceva quello.

 

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