sabato 25 gennaio 2014

Il pallone del signor G.

La Fiorentina di Pesaola e il Cagliari di Gigi Riva stavano spezzando dodici anni (con una parentesi Bologna) di dominio Inter-Juve-Milan. Millenovecentosessantanove. Il '68 nel calcio arriva un anno dopo. L'Italia è campione d'Europa in carica e si sta preparando al Mondiale in Messico quando Giorgio Gaber ritaglia una figurina di calciatore in una delle sue canzoni più famose, Il Riccardo. Poi c'è il Nico che gioca al pallone, mette giù un sacco d'arie e pretese, cambia d'abito sei volte al mese, è riserva... però in serie A.


Si disse che fosse ispirata a Bruno Mora, che col Milan aveva vinto uno scudetto e una Coppa dei Campioni, ma che per un infortunio aveva perso la possibilità di giocare i Mondiali del '66, dopo essere andato in Cile nel '62.

Le domeniche del signor G. erano fatte di passione per l'Inter, lui, un irregolare anche nel tifo, controcorrente in una famiglia di milanisti. Finché l'irregolarità divenne anomalia, come ammetteva. "Mio padre e mio fratello tifavano per il Milan. Ero diviso in due. Tanto che quando il Milan perdeva ero dispiaciuto ugualmente. Mio padre e mio fratello poi sono morti, e io ho deciso di fare il tifo sia per l'Inter che per il Milan".

Domenica alle quattro siam corsi alla partita. La squadra del Bologna è stata ahimé battuta. Guardando i giocatori ho avuto una pensata: andiamo tutti a casa, portiamoli con noi. (da Mapim Mapom, scritta per Ombretta Colli)

Gaber aveva amato prima il pallone e dopo il calcio, nel senso che se ne era innamorato giocando in strada, come capitava ai bambini dell'epoca. "La strada è stata molto importante per me. Sono un vero cittadino, come direbbe Céline. Da bambino giocavo a calcio, facevo il portiere e mi tuffavo sull’asfalto. La prima volta in un campetto, con tutta quell’erba ero quasi a disagio”, raccontò nel 2001 a "Specchio". Gli amici ricordano poi partite di calcio-tennis in Versilia, rigorosamente giocate in coppia con Sandro Luporini, il suo alter-ego, autore dei testi di tante canzoni e tanti spettacoli.

Calcio e tennis saranno in realtà due mondi perfetti per fare nel '76 il ritratto di un'Italia operaia alle prese con una mutazione genetica. È l'anno in cui Panatta vince Roma, Parigi e Coppa Davis. Gaber in teatro recita un monologo:
Ora tutte le fabbriche ci hanno i loro campi da tennis, e si capisce chiaramente che è la base che ha imposto i suoi gusti. Praticamente la proletarizzazione: "Op, bella palla!... Grazie, grazie... Scusa..." Siamo anche educati... "Scusa..."
Ma giocate al calcio, deficienti!
È un monologo che si chiude con una riflessione, su quel tempo in cui si dovrà pur decidere se avere dei nemici o giocare a tennis. Gaber non si nascondeva certo la funzione di anestesia che il calcio poteva avere sulle masse. Nel '72 canta l'ascesa dei tecnocrati in "La presa del potere", in uno scenario distratto:

E l'Italia giocava alle carte / e parlava di calcio nei bar / e l'Italia rideva e cantava.

Ma il calcio aveva comunque, ai suoi occhi, quella forza che solo le grandi passioni popolari sanno mettere in campo. Lo spiega bene Sandro Luperini nel suo libro "G. - vi racconto Gaber".
Se c’è una cosa che mi fa molto ridere è l’atteggiamento infastidito che alcuni pseudointellettuali non perdono occasione di esibire quando si parla di sport. Sembra quasi che rabbrividiscano di disgusto nel condividere le passioni e le debolezze della gente comune. Conoscere il nome dei calciatori o quello dei cantanti che hanno appena trionfato nei vari spettacoli televisivi a loro sembra una cosa del tutto disdicevole e squalificante.
Non è una forzatura estendere questo pensiero a Gaber, portiere ragazzino che con le sue dita lunghe parava d'estate rigori al campetto di Ramponio. I nomi dei calciatori, e le tattiche, e l'attualità, li conosceva davvero. In pieni anni '80, in un'intervista all'Unità parla della rivalità fra Napoli e Milan. 
"Maradona è il più bravo del mondo, ma questa disparità fra talento e aspetto umano mi irrita. Ci ha abituato a quei suoi atteggiamenti da soubrette di provincia. È grande solo quando calcia un pallone. Napoli lo ama ma finirà per detestarlo. Gullit è più simpatico, più umano, più riservato". 
Sacchi era, per Gaber "una berlusconata riuscita. Il suo gioco mi diverte, ma non mi sembra che rispetto al Torino di Radice o all'Olanda anni '70 abbia inventato qualcosa di nuovo". Quanto all'impatto sociale del calcio diceva: "È diventato lo sfogatoio di chi non sa più in che cosa credere. L'impotenza generale rispetto alle cose importanti trova uno sfogo nelle cose inutili. Non sono uno snob che guarda il calcio con fastidio. Sono un grande tifoso, alla domenica accendo subito la tv per sapere i risultati delle partite. Però stiamo esagerando: prima si faceva finta di arrabbiarsi sul serio, ora non c'è più neppure bisogno di far finta. Sta diventando un delirio".

Giorgio Gaber oggi avrebbe compiuto 75 anni.

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