“Le arti marziali non sono solo arti marziali. Sono mezzi per plasmare il carattere e per scolpire la personalità”. Cita scrittori e guru. Indica nei grandi campioni del basket di oggi e di ieri (Kobe Bryant, Michael Jordan, Mike D’Antoni) esempi di guerrieri moderni. I guerrieri senza violenza. Quelli che sanno prendere in mano il proprio destino. Possono persino sbagliare come uno di noialtri, ma non sanno smettere di diffondere sicurezza totale. Ed è per questo che cerchiamo un guerriero nella nostra parte del campo, nei momenti che contano. “Le offerte di pace di una persona che non teme lo scontro hanno un potere che una pace nata dalla paura non potrà mai avere”. La paura. Roba banale. Per tutti. Pure del guerriero. La differenza è che il guerriero la guarda negli occhi. E la combatte. “Ogni combattimento è una battaglia contro i propri limiti e contro le proprie debolezze”. Non è altro che questo, ciò che le arti marziali mettono in gioco, “la paura della violenza, la paura di essere nel mirino di un attacco lanciato da chi possiede una forza mostruosamente superiore”, in sostanza la paura che si prova quando ci si sente preda.
Alla materia, Daniele Bolelli ha dedicato un libro in uscita, Per un cuore da guerriero (285 pagine, add editore): riflessioni che colleziona e aggiorna da quando era ancora uno studente. Pagine con le quali mira a bersagli alti. Contro le religioni, “nate dalla paura di essere davvero vivi”. Contro i grandi filosofi della Grecia antica o della prima età moderna, “secoli di Aristotele, Platone e Cartesio hanno spianato la strada per il decadimento del corpo”. Contro quei secoli in cui si è teorizzata la supremazia della mente sul corpo. “Come se ci chiedessero quale poliziotto vogliamo essere, quello che sa leggere o quello che sa scrivere”. Ma allo stesso tempo censura pure i fanatici del corpo: “L’armonia tra corpo e mente è qualcosa che non ha niente a che fare con l’ossessione della fitness. Avere un corpo perfetto non è importante quanto saperne ascoltare la voce”.
Le arti marziali hanno due Bibbie: Il libro dei cinque anelli di Myamoto Musashi e L’arte della guerra di Sun Tzu. In America e in Giappone sono diventati i libri di testo per corsi sull'arte di governare i conflitti, a cui prendono parte manager e uomini d’affare. E’ in momenti del genere, spiega Bolelli, che le arti marziali mostrano come “la stupidità umana è un pozzo la cui profondità non finisce mai di stupirmi”. Un tradimento. “Il mondo delle arti marziali è pieno di ciarlatani che si guadagnano da vivere inventandosi storie assurde sui poteri del Chi”. Il Chi, un’invisibile energia che darebbe vita a ogni creatura. Ma non è la sola infedeltà alla autentica natura delle arti marziali. Il cinema ci ha messo del suo. “La qualità media dei film marziali è così bassa che è difficile guardarli senza ridere”. Bolelli smania per la messa in rilievo degli aspetti più rozzi, “quel circo di acrobati volanti”, il voyeurismo della violenza. “La pace non è spettacolare”. Boccia le mosse viste in Matrix, riconosce a La tigre e il dragone la capacità di aver portato il genere fuori dai B-movies. E il mito Bruce Lee? Al telefono dalla California, Bolelli dice che “dopo di lui le arti marziali non hanno più trovato un personaggio mediaticamente forte, uno in grado di fare presa sulle masse”. Bel problema. Come se il rock avesse perso la facoltà di generare icone dopo Elvis. Oggi il mondo delle arti marziali riconosce una leadership mediatica al brasiliano Anderson Silva. Ma gli stessi film di Bruce Lee sono “responsabili di alcuni degli stereotipi dell’intero genere del cinema marziale e non rendono giustizia alla profondità filosofica di cui Lee era capace”. Pregiudizi. Anche politici, a sentire Bolelli. “Il mito guerriero è visto da molti come una fantasia maschilista adatta solo a trogloditi con più muscoli che cervello. La miopia della cultura europea ha bollato la figura dell’individuo forte, dell’eroe, del guerriero come un fenomeno di destra, come una fantasia per chi brama sangue. Una sciocca superstizione – scrive – di un’ideologia mediocre che attribuisce alla destra un fascino che in realtà non le appartiene”.
E invece le arti marziali hanno affascinato Mickey Hart, percussionista dei Grateful Dead, così come il regista Werner Herzog, che diceva: “Quando io cammino, cammina un bisonte. Quando mi fermo, si riposa una montagna”. Le arti marziali hanno funzione sociale. A Napoli, quartiere Scampia, la famiglia Maddaloni insegna judo. Pino è stato campione ai Giochi di Sydney del 2000. Papà Gianni, suo allenatore e poi istruttore di altri talenti giunti in nazionale, insegna tecniche e filosofia del judo ai bambini della zona. Racconta che a volte accoglie i nuovi facendogli cadere casualmente una moneta tra i piedi. Loro si abbassano furiosi per arraffarla, e lui predica quanta dignità ci sia invece nel distacco dai soldi. Lascia passare dieci minuti e un’altra moneta casca di nuovo lì, fra i piedi del neofita. E se stavolta quello non si muove, Gianni Maddaloni gli spiega che i soldi non vanno inseguiti con ossessione ma non vanno nemmeno sprecati, non è il pavimento il posto giusto dove lasciare una moneta. “Il bello delle arti marziali – dice Bolelli – sta nel sentire la filosofia calarsi nei muscoli. Avere a che fare con la paura sulla pelle, sperimentarla addosso. Le arti marziali, nella loro versione sudata e grezza, sono il miglioramento della filosofia”. Senza offesa per Platone.
Alla materia, Daniele Bolelli ha dedicato un libro in uscita, Per un cuore da guerriero (285 pagine, add editore): riflessioni che colleziona e aggiorna da quando era ancora uno studente. Pagine con le quali mira a bersagli alti. Contro le religioni, “nate dalla paura di essere davvero vivi”. Contro i grandi filosofi della Grecia antica o della prima età moderna, “secoli di Aristotele, Platone e Cartesio hanno spianato la strada per il decadimento del corpo”. Contro quei secoli in cui si è teorizzata la supremazia della mente sul corpo. “Come se ci chiedessero quale poliziotto vogliamo essere, quello che sa leggere o quello che sa scrivere”. Ma allo stesso tempo censura pure i fanatici del corpo: “L’armonia tra corpo e mente è qualcosa che non ha niente a che fare con l’ossessione della fitness. Avere un corpo perfetto non è importante quanto saperne ascoltare la voce”.
Le arti marziali hanno due Bibbie: Il libro dei cinque anelli di Myamoto Musashi e L’arte della guerra di Sun Tzu. In America e in Giappone sono diventati i libri di testo per corsi sull'arte di governare i conflitti, a cui prendono parte manager e uomini d’affare. E’ in momenti del genere, spiega Bolelli, che le arti marziali mostrano come “la stupidità umana è un pozzo la cui profondità non finisce mai di stupirmi”. Un tradimento. “Il mondo delle arti marziali è pieno di ciarlatani che si guadagnano da vivere inventandosi storie assurde sui poteri del Chi”. Il Chi, un’invisibile energia che darebbe vita a ogni creatura. Ma non è la sola infedeltà alla autentica natura delle arti marziali. Il cinema ci ha messo del suo. “La qualità media dei film marziali è così bassa che è difficile guardarli senza ridere”. Bolelli smania per la messa in rilievo degli aspetti più rozzi, “quel circo di acrobati volanti”, il voyeurismo della violenza. “La pace non è spettacolare”. Boccia le mosse viste in Matrix, riconosce a La tigre e il dragone la capacità di aver portato il genere fuori dai B-movies. E il mito Bruce Lee? Al telefono dalla California, Bolelli dice che “dopo di lui le arti marziali non hanno più trovato un personaggio mediaticamente forte, uno in grado di fare presa sulle masse”. Bel problema. Come se il rock avesse perso la facoltà di generare icone dopo Elvis. Oggi il mondo delle arti marziali riconosce una leadership mediatica al brasiliano Anderson Silva. Ma gli stessi film di Bruce Lee sono “responsabili di alcuni degli stereotipi dell’intero genere del cinema marziale e non rendono giustizia alla profondità filosofica di cui Lee era capace”. Pregiudizi. Anche politici, a sentire Bolelli. “Il mito guerriero è visto da molti come una fantasia maschilista adatta solo a trogloditi con più muscoli che cervello. La miopia della cultura europea ha bollato la figura dell’individuo forte, dell’eroe, del guerriero come un fenomeno di destra, come una fantasia per chi brama sangue. Una sciocca superstizione – scrive – di un’ideologia mediocre che attribuisce alla destra un fascino che in realtà non le appartiene”.
E invece le arti marziali hanno affascinato Mickey Hart, percussionista dei Grateful Dead, così come il regista Werner Herzog, che diceva: “Quando io cammino, cammina un bisonte. Quando mi fermo, si riposa una montagna”. Le arti marziali hanno funzione sociale. A Napoli, quartiere Scampia, la famiglia Maddaloni insegna judo. Pino è stato campione ai Giochi di Sydney del 2000. Papà Gianni, suo allenatore e poi istruttore di altri talenti giunti in nazionale, insegna tecniche e filosofia del judo ai bambini della zona. Racconta che a volte accoglie i nuovi facendogli cadere casualmente una moneta tra i piedi. Loro si abbassano furiosi per arraffarla, e lui predica quanta dignità ci sia invece nel distacco dai soldi. Lascia passare dieci minuti e un’altra moneta casca di nuovo lì, fra i piedi del neofita. E se stavolta quello non si muove, Gianni Maddaloni gli spiega che i soldi non vanno inseguiti con ossessione ma non vanno nemmeno sprecati, non è il pavimento il posto giusto dove lasciare una moneta. “Il bello delle arti marziali – dice Bolelli – sta nel sentire la filosofia calarsi nei muscoli. Avere a che fare con la paura sulla pelle, sperimentarla addosso. Le arti marziali, nella loro versione sudata e grezza, sono il miglioramento della filosofia”. Senza offesa per Platone.
(Il Venerdì, 24 maggio 2013)
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