Ho parato con i piedi, ho parato con il corpo, ho sempre parato con tutto me stesso. Io, Ronnie Hellström, svedese di Malmö. La città di Ibrahimovic e di Anita Ekberg, scegliete voi chi preferite. Se c'è un calciatore svedese legato ai Mondiali, be', allora quello sono io. Intanto, per via di un film. Nel film io sono quello con i baffi. C'era poco da prendersi sul serio in quel film, e se hai i baffi la cosa ti aiuta. Avevo 25 anni, e anche questo aiuta. Giocavo nell'Hammarby. Sia nella vita sia nel film. L'Hammarby è una squadra di Stoccolma che adesso si tarantola in serie B. Ma all'epoca era una grande del calcio svedese. Insomma una grande proprio no, lo scudetto non lo vincemmo mai. Ma a me piaceva pensare che ogni anno potessimo provarci.
Dell'Hammarby in nazionale c'ero solo io. Questo nella vita. Nel film di cui vi parlavo, invece, dell'Hammarby in nazionale eravamo in due. L'altro si chiamava Fimpen. Ed era un bambino.
Sì, lo so, non vi ho fatto capire niente. Allora. Il film si chiama Fimpen il goleador. Fimpen va alle scuole elementari e scopre di essere bravissimo col pallone fra i piedi. Lascia la scuola, gioca nell'Hammarby e poi in nazionale, ed è lui a trascinare la nazionale alla qualificazione per il mondiale del '74. Questa è la storia.
Ve l'ho detto: c'era poco da prendersi sul serio. Noi della nazionale ci prestammo volentieri a girarlo. Ci portò fortuna: al mondiale in Germania andammo benino. Passammo il girone senza perdere e senza prendere gol. Poi nella seconda fase perdemmo da Polonia e Germania, però tornammo a casa a testa alta. Tanto alta che alcuni di noi erano in nazionale anche al mondiale del '78. Stavolta senza un Fimpen. Chissà perché non girammo un sequel. Non importa.
Il fatto è che se sei così bravo a non prenderti sul serio, significa che devi conoscere dentro di te i momenti per andarci incontro, alle cose serie. Quel momento doveva arrivare nel 1978. Il 1° giugno, un giovedì, alle tre del pomeriggio iniziava il Mondiale in Argentina. Germania contro Polonia: le due squadre da cui avevamo perso 4 anni prima. Un altro piccolo filo di continuità. Ogni giovedì, davanti alla Casa Rosada, andavano a protestare e urlare il loro dolore le donne argentine, le madri di Plaza de Mayo.
Gérard Albouy, giornalista francese inviato di Le Monde in Argentina, scrive sul numero in edicola il 10 giugno: "Nella piazza, alcune persone si godono il sole d'inverno sulle panchine. Alcuni minuti più tardi, arrivano sette o otto giovani biondi, vestiti con la stessa divisa sportiva gialla e azzurra. Sono calciatori della Nazionale svedese. C'è Bjorn Nordqvist, che ha appena battuto un record mondiale giocando la sua partita internazionale numero centodieci. Il talentuoso portiere Ronnie Hellström, l'attaccante Ralf Edström, Staffan Tapper, ecc. Videocamere alla mano, macchine fotografiche a tracolla, sembrano perfetti turisti". (*)
Molti altri quotidiani europei raccontano che io, con i miei compagni della Nazionale svedese siamo andati in piazza con le madri dei desaparecidos. Girò una mia frase: "Era un obbligo che avevo verso la mia coscienza". La Svezia era uno dei paesi che più si opponeva a quel Mundial. Dagmar Hagelin era una ragazzina argentina di 17 anni, origini svedesi, la sua colpa consisteva nell'avere per patrigno un avvocato che aveva difeso i montoneros. Fu sequestrata, portata all'Esma e mai più restituita alla famiglia. Durante il Mundial, non si avevano sue notizie da un anno e mezzo, ma si sperava che potesse essere ancora viva.
Nel 2008 vennero a chiedermi di quella manifestazione a distanza di trent'anni. E allora lo dissi con chiarezza in quell'intervista. In Plaza de Mayo non ero io, non ci sono mai andato a manifestare. Non sapevo che ci fosse gente convinta di questa versione. Due o tre dei miei compagni andarono in piazza, non ricordo chi. Non io. Eravamo su un bus turistico, sapevamo solo che quelle donne stavano inscenando una protesta. Per il resto in Argentina ci pareva tutto normale, c'era solo più polizia del solito negli stadi. La federcalcio svedese non voleva che parlassimo di politica né di quello che stava capitando lì. Molti di non non erano d'accordo, ma non trovammo il coraggio di fare altro. Eppure, alla giovane Dagmar lo dovevamo.
Sul campo, molto prima di Argentina-Perù, capimmo subito che al Brasile l'avrebbero fatta sporca. Furono i nostri avversari nella partita d'esordio nel girone. Eravamo sull'1-1, il 90' era vicino, calcio d'angolo per loro. L'arbitro è accanto a me, a due passi, sistemato sul secondo palo. Allora gli domando quanto manca alla fine, mi dice che il tempo sta scadendo. Il guardalinee iraniano ritarda la battuta di Nelinho sistemandogli con pignoleria il pallone all'interno della lunetta. Altri secondi perduti. Quando la palla arriva a Zico, un attimo prima che lui possa colpirla, l'arbitro fischia la fine. Il pallone finisce in porta, ma il gol viene annullato. I brasiliani sono increduli. Ma è così.
Fu il nostro unico punto in quel Mundial. Perciò preferisco ricordare il '74. Quello nella mia Germania. Dico mia perché in Germania avrei poi giocato a lungo, con il Kaiserslautern. Il mio nome è finito anche in un romanzo: Il Bambino della Città Ghiacciata, di Olle Lönnaeus. Sono una figurina dell'album dei Mondiali che il protagonista Konrad Jonsson incollava quando era piccolo. Il calcio vero è dei Fimpen, non c'è niente da fare.
(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite a Ronnie Hellström sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti)
(*) L'intera vicenda è stata ben ricostruita, con rivelazioni inedite, da Quique Peinado nel bel libro "Calciatori di sinistra" (Isbn Edizioni).
1 commento:
fimpen il goleador ...
pensavo di averlo visto solo io !
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