sabato 3 luglio 2010

Shakespeare, Vasco e Daniele Luchetti

Insomma. Prendete il clown della Dodicesima Notte. Feste è il personaggio più desolato mai inventato da Shakespeare, privo di ogni fiducia nel mondo e negli uomini, eppure si concede ogni parola, anche la più irriverente, nei confronti del potere. Quando Feste rimane da solo nella scena finale, in una canzone - di parole - ne pronuncia sette. Che sono un sigillo definitivo. E' una prospettiva da cui guardare la vita. Lui dice For the rain it raineth wery day, che sarebbe semplicemente Perché la pioggia cade ogni giorno.


Tutto qui? Tutto qui. 
Ora. La cosa bella è che molti critici, durante l'età vittoriana, erano orientati a considerare questa canzone e questo verso un'aggiunta di mani estranee al canone di Shakespeare. Parevano indegni di lui. Per il suo carattere popolare. Ma vanno perdonati. Non sapevano ancora che Buster Keaton avrebbe fatto un film con Ciccio e Franco, né che Orson Welles avrebbe girato con Totò. Comunque. La cosa bella - un'altra - è che la Dodicesima Notte è l'ultima delle commedie composte prima del ritorno alle grandi tragedie. Quella frase di Feste è dunque l'ultimo momento di presunta leggerezza, chiamiamola così e poi vedremo, che Shakespeare mette su carta prima di tornare ad argomenti alti. Una canzone sconclusionata e infantile. Ma diventa weltanschauung. E' come un binario di scambio in una ferrovia. Ti porta di là. Se la pioggia cade ogni giorno, ci dice Feste con questo gancio fra il riso delle commedie e il sangue delle tragedie, tutto allora è meno grave. Tutto. Ma pure improvvisamente tutto più piccino. Più trascurabile. Parodiabile. Perché tutto è sempre uguale a se stesso e a ciò che è stato. Perché in fondo la pioggia cade ogni giorno. A great while ago the world began, il mondo è cominciato tanto tempo fa, ha detto Feste solo pochi versi prima. Perciò il mondo è più vecchio del mio dolore; al mio dolore il mondo non può che essere indifferente. Insensibile. Feste lo sa, e infatti dopo di lui nelle pagine di Shakespeare ci sarà posto solo per i Macbeth e gli Amleto, Giulio Cesare e Lear, ci sarà spazio e attenzione solo al dolore dei grandi. Quello di Feste è il consuntivo di un disinganno, di un fallimento e di una vita. O forse della vita. Un consuntivo con toni popolari piazzati fra la leggerezza e la tragedia. Che sta un po' qua e un po' là.
Tutto questo per dire che quando la voce di Elio Germano stona sulle notte di Vasco, nella scena più forte de La Nostra Vita di Luchetti, quando canta/urla/sbraita E la vita contiiiiinuaaaaa anche senza di noi, ecco allora si rifà viva dopo secoli la maschera di Feste. Dolente e buffa. E senza bisogno di spoiler, si piange due volte.

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