Quello
che aveva il numero 3 dipinge paesaggi. C’è stata una mostra poco fa, delle
opere di Wim Van Hanegem. Il numero 10, René van de Kerkhof, gestisce una sala
congressi e a tempo perso tiene reading di romanzi e poesie. Il numero 15 ha
preso casa fuori Amsterdam e pesca. Pesca e basta, Rob Rensenbrink. Non fa
altro. Non parlategli di pallone. Non ha voluto più saperne nulla, andassero al
diavolo le scarpette e tutto il resto. Era così vivo il loro calcio che hanno
dovuto seppellirlo. Era così totale che hanno dovuto azzerarlo. Capelli lunghi
e passaggi corti. Erano belli, alti e biondi. Gol e anarchia: non importa chi
marcava chi. “Chissà perché”, si chiedeva Rinus Michels, il ct che l’aveva
inventato e che dal 2005 non c’è più.
Di
quella squadra coi piedi fatati e le mani bucate, due volte in finale e due
volte battuta, restano frammenti di calcio amoroso e una galleria di vite
improbabili. Furono così vicini alla perfezione che dopo potevano solo
perdersi. Una maledizione sulla felicità che ha colto Jan Jongbloed, il
portiere che vendeva sigari dopo due Mondali col numero 8 e un maglione giallo.
Era ancora in campo per divertirsi a 45 anni, lo fermò un infarto: l’anno prima
un fulmine aveva ucciso il figlio durante una partita. Oggi è il consulente
dell’Hellas Zaandam. Maledizione pure su Wim Suurbier, il terzino col numero 20
la sera del 7 luglio ’74 contro la Germania, quando i figli dei fiori del
calcio videro schiacciata la loro rivoluzione da un rigore di Breitner e un
graffio di Mueller. Il più matto tra i matti, quel Wim, persino cuoco in ritiro.
Una volta fece la pipì dal finestrino del pullman. Gli scappava. Il compagno
Willy van de Kerkhof, finalista nel ’78, lo definiva l’incarnazione di tutto
ciò che Dio ha proibito. Dopo il fallimento del negozio di articoli sportivi, s’è
innamorato in New Mexico e ha fatto il barista per 35 dollari al giorno. Poi l’autista
per un importatore di fiori e il pulitore di tappeti. Un giorno Cruyff apre la
porta e se lo trova sul marciapiede davanti casa a Barcellona. In fuga dai
creditori. Un editore gli propose l’autobiografia. Soldi che facevano comodo.
Suurbier li buttò via quando capì che gli chiedevano di esibire i panni sporchi
dello spogliatoio. Da allora l’Olanda del ’74 aiuta il vecchio amico che dalla
destra metteva la palla in mezzo, lui che li faceva divertire col duo comico –
Snabbel en Babbel – allestito con Krol.
Rudy,
eccone un altro. Aveva 31 anni quando lo comprò il Napoli. Arriva all'aeroporto
e si trova davanti una fata bruna che dalla camicetta aperta gli lascia
intravedere la parola benvenuto. Scritta col rossetto sulla pelle. Lo
accoglieva in seno alla famiglia. E lui si fece accogliere. Fu un Maradona
prima di Diego. I pescatori gli portavano il pesce fresco ogni mattina. Oggi
allena. Uno dei pochi. Tutti ben defilati. Ci ha provato Rijsbergen , ct di
Trinidad&Tobago. Ci ha provato Haan, da Cipro a Persepolis, dal Camerun all’Albania,
squalificato in Cina per accuse di bustarelle agli arbitri. Neeskens fa il vice
di Rijkaard al Galatasaray, Jansen se n’è andato dal Feyenoord e chiede d’essere
dimenticato, stesso obiettivo di Johnny Rep, osservatore per squadre
dilettanti. Pare facile. In Francia, un gruppo rock ha dato il suo nome a una
canzone. In memoria dei campionati al Saint-Etienne, la squadra di Platini. Ma
la canzone era per lui: “Stasera la pioggia inzuppa i giacconi, ma Johnny Rep
ha fatto gol”. Gli è piaciuta l’idea e un disco l’ha inciso anche lui: Hey
Johnny.
Era
la Generazione Cruyff, che andava in campo con le perline al collo e tirava l’alba
alla Bottega Jopman, piccolo bar del centro di Amsterdam. Se ne ricorda bene
Van Hanegem, il pittore-fotografo, che ora commenta i gol della generazione
Robben in tv. Lui perse fratello, sorella e padre durante un bombardamento
tedesco del ’44. Raccontano che non abbia smesso di odiare la Germania. E il
rigore di Breitner non c’entra.
(da la Repubblica, 8 luglio 2010)
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