venerdì 9 luglio 2010

L'Olanda del '74. Dove sono finiti i ribelli del calcio


Quello che aveva il numero 3 dipinge paesaggi. C’è stata una mostra poco fa, delle opere di Wim Van Hanegem. Il numero 10, René van de Kerkhof, gestisce una sala congressi e a tempo perso tiene reading di romanzi e poesie. Il numero 15 ha preso casa fuori Amsterdam e pesca. Pesca e basta, Rob Rensenbrink. Non fa altro. Non parlategli di pallone. Non ha voluto più saperne nulla, andassero al diavolo le scarpette e tutto il resto. Era così vivo il loro calcio che hanno dovuto seppellirlo. Era così totale che hanno dovuto azzerarlo. Capelli lunghi e passaggi corti. Erano belli, alti e biondi. Gol e anarchia: non importa chi marcava chi. “Chissà perché”, si chiedeva Rinus Michels, il ct che l’aveva inventato e che dal 2005 non c’è più.

Di quella squadra coi piedi fatati e le mani bucate, due volte in finale e due volte battuta, restano frammenti di calcio amoroso e una galleria di vite improbabili. Furono così vicini alla perfezione che dopo potevano solo perdersi. Una maledizione sulla felicità che ha colto Jan Jongbloed, il portiere che vendeva sigari dopo due Mondali col numero 8 e un maglione giallo. Era ancora in campo per divertirsi a 45 anni, lo fermò un infarto: l’anno prima un fulmine aveva ucciso il figlio durante una partita. Oggi è il consulente dell’Hellas Zaandam. Maledizione pure su Wim Suurbier, il terzino col numero 20 la sera del 7 luglio ’74 contro la Germania, quando i figli dei fiori del calcio videro schiacciata la loro rivoluzione da un rigore di Breitner e un graffio di Mueller. Il più matto tra i matti, quel Wim, persino cuoco in ritiro. Una volta fece la pipì dal finestrino del pullman. Gli scappava. Il compagno Willy van de Kerkhof, finalista nel ’78, lo definiva l’incarnazione di tutto ciò che Dio ha proibito. Dopo il fallimento del negozio di articoli sportivi, s’è innamorato in New Mexico e ha fatto il barista per 35 dollari al giorno. Poi l’autista per un importatore di fiori e il pulitore di tappeti. Un giorno Cruyff apre la porta e se lo trova sul marciapiede davanti casa a Barcellona. In fuga dai creditori. Un editore gli propose l’autobiografia. Soldi che facevano comodo. Suurbier li buttò via quando capì che gli chiedevano di esibire i panni sporchi dello spogliatoio. Da allora l’Olanda del ’74 aiuta il vecchio amico che dalla destra metteva la palla in mezzo, lui che li faceva divertire col duo comico – Snabbel en Babbel – allestito con Krol.
Rudy, eccone un altro. Aveva 31 anni quando lo comprò il Napoli. Arriva all'aeroporto e si trova davanti una fata bruna che dalla camicetta aperta gli lascia intravedere la parola benvenuto. Scritta col rossetto sulla pelle. Lo accoglieva in seno alla famiglia. E lui si fece accogliere. Fu un Maradona prima di Diego. I pescatori gli portavano il pesce fresco ogni mattina. Oggi allena. Uno dei pochi. Tutti ben defilati. Ci ha provato Rijsbergen , ct di Trinidad&Tobago. Ci ha provato Haan, da Cipro a Persepolis, dal Camerun all’Albania, squalificato in Cina per accuse di bustarelle agli arbitri. Neeskens fa il vice di Rijkaard al Galatasaray, Jansen se n’è andato dal Feyenoord e chiede d’essere dimenticato, stesso obiettivo di Johnny Rep, osservatore per squadre dilettanti. Pare facile. In Francia, un gruppo rock ha dato il suo nome a una canzone. In memoria dei campionati al Saint-Etienne, la squadra di Platini. Ma la canzone era per lui: “Stasera la pioggia inzuppa i giacconi, ma Johnny Rep ha fatto gol”. Gli è piaciuta l’idea e un disco l’ha inciso anche lui: Hey Johnny.

Era la Generazione Cruyff, che andava in campo con le perline al collo e tirava l’alba alla Bottega Jopman, piccolo bar del centro di Amsterdam. Se ne ricorda bene Van Hanegem, il pittore-fotografo, che ora commenta i gol della generazione Robben in tv. Lui perse fratello, sorella e padre durante un bombardamento tedesco del ’44. Raccontano che non abbia smesso di odiare la Germania. E il rigore di Breitner non c’entra.

(da la Repubblica, 8 luglio 2010)

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