Qualche minuto dopo le quindici, sotto la pioggia, per la prima partita che la Nazionale
giocava nella sua storia a Roma, si presentarono allo Stadio del Partito Fascista il ministro
Giuriati, i sottosegretari Giunta e Balbo, il vicesegretario Starace, l'ammiraglio Sirianni e
venticinquemila spettatori. Tutti gli altri scoprirono che il calcio non si doveva per forza
guardare, ora si poteva anche ascoltare a casa. Bastava accendere la radio. Il 25 marzo del
‘28 - novant’anni fra pochi giorni - gli italiani si imbattevano senza capirlo in una faccenda
che avrebbe finito per cambiare le abitudini della società.
giovedì 22 marzo 2018
venerdì 16 marzo 2018
Cubillas, Varela e il pallone che guarisce l'acufene
Obdulio Varela nell'illustrazione di @a_jack_drawings (instagram) |
Sedicesimi di finale: Perù 1982-Uruguay 1950
Dove si dimostra che un gol ha quasi sempre a che fare con il sesso e con la morte
Il giorno della partita i giocatori del Perù si svegliarono tutti con un fischio all'orecchio destro, ma prima che se lo rivelassero l’uno con l’altro passarono sette ore e mezza. Geronimo Barbadillo se ne accorse mentre sistemava un paio di statuine in terracotta alle pendici di una montagna, affinché proteggessero i suoi vitigni dalla tramontana, e all'inizio scambiò il sibilo per una folata di vento. Juan Carlos Oblitas Saba e César Augusto Cueto Villa stavano giocando a ping pong usando come tavolo l’altare in legno di una chiesa sconsacrata, scoprendo così che mandare avanti e indietro una pallina sopra una rete è il passatempo più crudele, perché chi pensa perde senza via di scampo [1].
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lunedì 12 marzo 2018
Quando rapirono Nils Liedholm
L'illustrazione è a cura di @a_jack_drawings (instagram) |
Sedicesimi di finale: Svezia 1958 - Argentina 1986
Dove si ragiona su cosa vada insegnato ai ragazzini
“Rapiremo Nils Liedholm”. Le tre parole scritte su un foglio a quadretti vennero recapitate in albergo tra le mani del portiere alle dieci e un quarto di un giovedì sera, quando per lo spavento provato dinanzi alla faccia dell’uomo che sbiancava, la vecchia stiratrice si bruciò un dito nell'assestare una botta di calore a un colletto inamidato. Il portiere si chiamava Kalle Svensson, ed essendo l’ultimo di dodici figli aveva affinato l’arte di catturare l’attenzione facendo la cosa giusta nel momento giusto. Perciò strappò il ferro di mano alla donna e prese a salire le scale a quattro a quattro, perché così s’era sempre detto, altrimenti per l’ansia a sei a sei le avrebbe fatte, a nove a nove anzi, e comunque mai in numero che non fosse multiplo di tre. Con la piastra in alluminio dell’arnese, Svensson vibrò un colpo alla porta del compagno Nils, spaccò la serratura, e una volta messo piede in camera, scoprì che la lettera diceva il falso. Non avrebbero rapito Liedholm. Liedholm lo avevano rapito già.
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