L'illustrazione è a cura di @a_jack_drawings (instagram) |
Sedicesimi di finale: Svezia 1958 - Argentina 1986
Dove si ragiona su cosa vada insegnato ai ragazzini
“Rapiremo Nils Liedholm”. Le tre parole scritte su un foglio a quadretti vennero recapitate in albergo tra le mani del portiere alle dieci e un quarto di un giovedì sera, quando per lo spavento provato dinanzi alla faccia dell’uomo che sbiancava, la vecchia stiratrice si bruciò un dito nell'assestare una botta di calore a un colletto inamidato. Il portiere si chiamava Kalle Svensson, ed essendo l’ultimo di dodici figli aveva affinato l’arte di catturare l’attenzione facendo la cosa giusta nel momento giusto. Perciò strappò il ferro di mano alla donna e prese a salire le scale a quattro a quattro, perché così s’era sempre detto, altrimenti per l’ansia a sei a sei le avrebbe fatte, a nove a nove anzi, e comunque mai in numero che non fosse multiplo di tre. Con la piastra in alluminio dell’arnese, Svensson vibrò un colpo alla porta del compagno Nils, spaccò la serratura, e una volta messo piede in camera, scoprì che la lettera diceva il falso. Non avrebbero rapito Liedholm. Liedholm lo avevano rapito già.
Un ritardo delle poste aveva fatto giungere la minaccia a piano realizzato, questo fu subito evidente a Svensson, considerando che la stanza di Liedholm detto il Barone era vuota, la finestra aperta e che da lì si riusciva a intravedere una mongolfiera volare in alto, in un frastaglio minuto e senza fine di rami e foglie, di biforcazioni e lobi, e spiumii, in un cielo di ritagli e di sprazzi irregolari [1].
Il primo canale della tv svedese interruppe la trasmissione del Melodifestivalen proprio mentre gli Amma presentavano a 4 milioni e 240mila spettatori la loro ultima canzone, The Illogical Song, storia di un giovanotto semplice che scopre casualmente, dinanzi a una bancarella di caldarroste, la gravidanza non desiderata della fidanzata [2]. A metà del melodramma pop, corrispondente circa al quarto mese e mezzo di gestazione nella ragazza, il telegiornale prese la linea e diede alla Scandinavia intera la notizia, accompagnata dall'impegno del ministro socialdemocratico alla sicurezza interna che tutto sarebbe stato fatto per restituire Liedholm alla squadra, meglio se in tempo per l’esordio dei Mondiali. Fu l’intero paese a mobilitarsi. Giungevano da ogni città - non solo da Stoccolma, ma anche da Malmö e Göteborg, da Gävle e Umeå - le immagini delle manifestazioni popolari guidate dal movimento Fri-Nils Kvinner, ragazze che per protesta facevano il bagno vestite nelle fontane in piazza, perché l’indifferenza della gente - spiegavano con filosofia - va smossa come l’acqua gelida. Il tennista Bjarne Bengt, l’uomo che aveva rivoluzionato il suo sport inventando il servizio a due mani e imponendolo alle masse insieme ai nastrini gialli e blu fra le treccine, annunciò l’istituzione di una taglia sulla testa dei rapitori, e si disse disposto a donare anche due delle coppe vinte a Forest Hills pur di avere informazioni utili per riportare a casa il Barone.
La caricatura di Hamrin nell'album Panini 1968/69 |
Jorge Valdano visto da Odón Elorza |
Alle undici del terzo giorno di viaggio, Gren riconobbe da lontano la sua meta e disse: “Siamo arrivati”. Quando entrarono a passi larghi nel territorio della neo-repubblica di Belgravia, finalmente pacificata e liberata dal potere di Nestor Grimka [7], i Quattro si diressero dritti al campo, senza curarsi degli sguardi della popolazione, incuriosita e preoccupata per l’arrivo degli stranieri. Al centro del prato stava uno sciame di bambini che correva seguendo le indicazioni di un vecchietto, seduto, le gambe incrociate, la schiena rivolta agli svedesi in arrivo. L’uomo gridava un numero ai piccoli, e quelli dovevano disegnarne i contorni sul prato con la palla al piede. Gli spigoli del quattro. Le curve dell’otto. Le irregolarità del cinque [8]. Hamrin scrutò la scena, allargò le braccia e mormorò tutto il suo scetticismo: “Lo sapevo. Non c’è”. Selmosson si lasciò cadere per la stanchezza e lo sconforto, mentre Skoglund cominciò a cercare un modo per far avere sue notizie alla moglie in Calabria. Solo Gren restò impassibile, e con la voce ferma, capace di controllare l’emozione, ordinò: “Voltati, Nils. Lo so che sei tu”.
La locandina del film in Italia |
La caricatura di Liedholm firmata da Molino per l'Intrepido |
Il tabellino della partita
Svezia 1958 - Argentina 1986 1-4
Svezia: Svensson 5.5; Bergmark 5, Axbom 5.5; Borjesson 5, Gustavsson 5.5, Parlino 5.5; Hamrin 6.5, Gren 6.5, Simonsson 5.5, Selmosson 6.5, Skoglund 6.5
Argentina: Pumpido 6.5; Giusti 6, Olarticoechea 6; Brown 6, Cuciuffo 6, Ruggeri 6.5; Burruchaga 7 (dal 77’ Bochini 6), Batista 6, Valdano 7.5, Maradona 7, Enrique 6 (dal 65’ Pasculli 6.5).
Arbitro: Walt Tyrus (Ohio, Usa)
Reti: 18’ Valdano, 35’ Burruchaga, 44’ Hamrin, 59’ Maradona, 67’ Valdano
note al testo
[1] Evidentemente tutti i baroni escono di scena allo stesso modo e con le stesse parole (cfr. Italo Calvino, Il Barone rampante, 1957).
[2] Cfr. la filosofia dei Supertramp (“There are times when all the world's asleep / The questions run too deep / For such a simple man”) e la poetica dei Cugini di Campagna (“Che odore di castagne al fuoco / Se tu ne hai voglia te ne prendo un po’”).
[3] Modo di dire argentino. Echar pelos en la leche, gettare capelli nel latte, dire cose affrettate.
[4] Jorge Valdano, Le undici virtù del leader. Il calcio come scuola di vita, 2013.
[5] I piatti preferiti da Nils Liedholm, come scrisse Gianni Mura su Repubblica il 6 novembre 2007. [6] L’arrivo degli svedesi in serie A fu una scossa. Il 29 marzo 1992 Liedholm raccontò come fece la conoscenza della scaramanzia e la sua reazione a Roberto Perrone, su Corriere della sera: “Quando noi svedesi siamo arrivati il primo anno cominciammo bene il campionato. Così l'allenatore non ci faceva cambiare il vestito. Un freddo. Ci siamo detti: allora meglio perdere qualche partita".
[7] Lo stato è situato nel mar Baltico e appare in alcune storie di Paperinik (Disney).
[7] Lo stato è situato nel mar Baltico e appare in alcune storie di Paperinik (Disney).
[8] Ancora Gianni Mura il 6 novembre 2007: “Nel giardino della villa di Cuccaro chiamava i numeri e i ragazzini li disegnavano col pallone. La sua preoccupazione era di insegnare la tecnica, prima che un allenatore innamorato dei due tocchi e via mandasse in soffitta pure quella (...). E questa fissazione della lealtà, della correttezza, del calciatore che è bravo quando toglie il pallone all'avversario senza fare fallo. E questa passione per il calcio che lo portava a essere, oggi possiamo dirlo, un maestro vero. Non uno che si diverte con le lavagnette, ma uno che sta mezz'ora in più sul campo per migliorare il piede sinistro di un giocatore, i cross da destra di un altro. Del maestro aveva la cultura e l'umiltà, che a volte mascherava con le battute (aveva un forte senso dell' umorismo, Nils). Non si ricorda un suo scatto d'ira, un gesto scomposto, una voce alzata, una polemica volgare. Per questo era il Barone e per questo sembrava fuoritempo”. Liedholm aveva giocato 359 partite nel Milan senza essere mai ammonito. Per Sandro Modeo (Corriere della sera, 28 novembre 2008) questo era il suo stile: “La sintesi di una filosofia in cui confluiscono severità luterana, altruismo socialdemocratico e un understatement che gli permette di innovare in sordina, prefigurando la rivoluzione-Milan, anche se il suo possesso-palla euritmico proseguirà, più che nel furore geometrico sacchiano, nelle tessiture di Van Gaal”. Scrive Mario Sconcerti, in Storia delle idee del calcio, 2013: “La caratteristica di Liedholm era che non si poteva insegnargli niente. Non era un neofita, non era uno sprovveduto. Era anzi un maestro di calcio, riconosceva un campione due anni prima degli altri. Fece debuttare Baresi e Maldini a diciotto anni, Antognoni a diciassette, Di Bartolomei anch'egli a diciotto. Scoprì Peruzzi, inventò un Milan di ragazzi. Spostava i mancini a destra e viceversa (Nela, Conti) perché voleva "vedessero il mondo da un'altra prospettiva". Era insomma un personaggio unico, anche se era un cane sciolto. Liedholm non si sarebbe mai sentito un portatore di una tesi. Lui non era una tesi, era la Verità. (...) Scelse di giocare a zona perché era naturale e perché considerava il calcio il gioco dell'uomo. (...) In realtà il suo gioco non aveva niente del calcio totlate olandese. Era una zona lenta, il traguardo era tenere palla finché l'azione non forniva lo spunto per un affondo importante. (...) Primo, tenere sempre noi il pallone. Finché lo teniamo noi, gli avversari non possono farci danno. Secondo, giocare più alti possibile. Stessa logica conclusione: finché la palla è nella metà campo degli altri, noi non corriamo rischi. Liedholm non fu un innovatore e nemmeno un terremoto”.
[9] Liedholm amava accostare i suoi giocatori ai grandi del passato, per il gusto del paradosso e per far crescere la loro autostima. Il 30 luglio 1981 Gianni Mura scrive che aveva paragonato Mandressi a Resenbrink, Scarnecchia a Surjak, Nela a Cervato, Marangon a Masopust, Valigi a Giresse. Scriveva Giulio Nascimbeni su Corriere della sera, l’8 ottobre 1987: “Parole come battaglia, dramma, assedio, vigilia d'armi, variamente tolte al linguaggio bellico o a quello teatrale per introdurle nelle crocìnache sportive, non sfiorano nemmeno i suoi pensieri. Con il getto d'acqua d'una battuta, Liedholm spegne bollori e polemiche. E cioè è tanto più sorprendente in un Paese come il nostro così restio ad accettare e apprezzare l'ironia, al punto che Leo Longanesi proponeva di usare, per le frasi ironiche, uno speciale carattere tipografico per renderle subito riconoscibili”.
[10] Amante dell’astrologia, Liedholm sosteneva, come disse a Marco Morelli, Guerin Sportivo, nella primavera del 1983, che “i migliori sono quelli della Bilancia: Pelé, Nordahl, Falcao, Didi, Sivori, Charlton, Piola. Ma anche gli Scorpione e gli Ariete non sono complessivamente niente male”. Ovviamente lui era Bilancia.
[11] Dovrebbe trattarsi di Fimpen Bergman, protagonista del film Fimpen il goleador (1974) di Bo Widerberg.
[12] Le frasi di Liedholm sono tratte da interviste date a Gianni Mura e Mario Sconcerti il 25 luglio 1979, il 14 gennaio 1980, il 24 luglio 1982.
[13] Così a Gianni Mura, la Repubblica, 9 agosto 1981.
[14] Così disse a Mario Sconcerti, la Repubblica, il 17 febbraio 1980.
[15] Il rimpianto è espresso nell'intervista rilasciata a Luigi Garlando, per la Gazzetta dello sport, il 3 maggio 1998.
leggi anche
Gascoigne e le due maglie di Pelé
Platini e la barriera di piume
Meazza, Kempes e le matite spezzate
Garrincha e la trappola del Belgio
Hanno tagliato le scarpe a Valderrama
Nessun commento:
Posta un commento