Facciamo un'enorme fatica a ricordare il nome di tre campioni del mondo da quando Mike Tyson ha lasciato la boxe, eppure non c'è ancora un altro sport che meglio si presti a mettere la cornice intorno a vite sfregiate o in bilico. Pare quasi che oggi resti il suo scopo principale, raccontare altro anziché raccontarsi. Milo Montero è allora il pugile perfetto per tutto questo, e un nome azzeccato fa il venti percento di una buona storia. Lo chiamano One Way perché il suo, sul ring e forse fuori, è un andamento a senso unico: avanzare, avanzare, avanzare perfino quando arretra, così da attirare gli avversari in trappola. One Way è più di un soprannome, via via è diventato un marchio, un brand come si dice. Alle soglie dei trent'anni, Montero ha aperto palestre, ha lanciato sul mercato una bibita con il suo nome, si vede offrire ruoli e programmi dalla tv. È un'industria che si regge sui suoi pugni, quelli che dà e quelli che deve evitare di prendere su un occhio che è il suo tormento dal giorno in cui dovette portarlo sotto i ferri di un chirurgo. Ha disputato un solo match negli ultimi dieci mesi, ma guidato negli affari da sua sorella Irene, ora può battersi in Germania contro il tedesco Mayer, per poi concedersi una chance mondiale in Italia contro un cinese.
mercoledì 30 agosto 2017
martedì 22 agosto 2017
Il tennis visto dall'alto
Il povero signor James, Edward James, lasciò quella mattina del giugno ’81 la camera d’albergo e fece più o meno tutti i suoi gesti abituali, senza sapere ancora che invece stava arrivando un giorno speciale. Pettinò come al solito i capelli bianchi con la fila di lato, mise gli occhialetti e salì felice in cima al suo ufficio, un seggiolone a due metri d’altezza piazzato ai bordi del prato verde di Wimbledon, dove sarebbe finito per un istante e per sempre nella vita di John McEnroe, da lui insultato come “un pazzo incompetente”, “un’offesa verso il mondo”, anzi “the pits of the world”, come dire, la cosa peggiore sulla faccia della terra. “You cannot be serious”, non puoi dire sul serio. La frase con cui John protestò, così celebre da diventare il titolo della sua biografia e il marchio della sua fabbrica di neurodeliri, se la prese in faccia questo pacioso dentista gallese, con apprezzato studio nella città di Llinelli, ma per una trentina di settimane l’anno giudice arbitro di tennis. Il primo nella storia a uscire dall'anonimato.
martedì 15 agosto 2017
Napoli e l'equilibrio dei sacerdoti di frontiera
Puoi farti gli affari tuoi e vivere
cent’anni, oppure restare fedele a ciò per cui sei venuto al mondo. Esiste una
linea di frontiera, nel Mezzogiorno d’Italia, lungo la quale una tonaca da
prete può essere una divisa o un costume, il segno di una responsabilità e di
una promessa, o solo l’abito ben stirato di un esercizio. Dentro questo dilemma
con cui la debolezza di molti uomini si confronta in certi territori, indaga L’equilibrio, il nuovo film di Vincenzo
Marra, napoletano, 45 anni, che al prossimo festival di Venezia torna nella
sezione “Giornate degli autori” cinque stagioni dopo aver presentato Il gemello.
Come essere sacerdote quando intorno a te regna l’orrore?
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venerdì 11 agosto 2017
Gli orizzonti di Simone Inzaghi
Dopo il debutto in serie A, il 14 settembre del '98, di lui Gianni Mura scrive: "Credo che non sarà una meteora". Non lo è stato. Quasi vent'anni dopo, Simone Inzaghi è dentro una stanza di Formello a preparare la Supercoppa di domenica, una lavagna alle spalle, i magneti blu che marcano i rossi, la caccia al primo titolo da allenatore dopo i sette da calciatore, tutti con la stessa maglia della Lazio, dov'è arrivato 18 anni fa senza andarsene. "Eppure non saprei spiegare cos'è la lazialità a chi viene da fuori e non conosce Roma. Io vivo ai Parioli, che è come dire nel cuore di questo sentimento. Forse ho capito fino in fondo la malattia del tifo quest'anno, dopo tre derby vinti, una felicità che m'è parsa più grande di quella per scudetto e Coppe".
giovedì 10 agosto 2017
Le sorelle Misericordia
Cristiana Cammarata non ha nulla di speciale, nemmeno la speranza, vive la sua condizione di ammalata di Sla come una donna "che non ha paura della morte ma dell'agonia". Laura, sua sorella, invece ha tutto, o quasi. Gioca a tennis, è la numero quattro al mondo e sulla Rod Laver Arena di Melbourne sta battendo nella finale degli Australian Open addirittura Serena Williams. Quando alle spalle della statunitense vede apparire la Madonna, mette la pallina in tasca, raccoglie borsa e racchette e imbocca il tunnel, mormorando "non posso", per poi recitare a bassa voce le preghiere che la sua fede cattolica le porta all'istante sulle labbra. Le pare un segno, una chiamata: tocca a lei occuparsi di Cristiana, tornare in città, chiudersi in casa, farla finita con questa immagine di donna emancipata e ricca.
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