Tre anni fa, Marco Ciriello raccontò come il dolore formi e deformi nel romanzo "Per favore non dite niente", ambientato nel mondo del calcio e ispirato alle vicende personali di Prandelli. È il suo metodo. Ciriello scrive (spesso di sport) trasfigurando, gioca a rendere l'invenzione più reale della realtà, senza limiti, intransigente alla tirannia della semplificazione, si tratti di raccontare un gol all'incrocio dei pali o il diritto al fine vita per i malati terminali: «Non sai mai quando hai giocato la tua ultima partita. Meno che mai, la migliore».
Le sorelle misericordia, le Cammarata, dialogano per affetto e per dispetto, perché a uno scambio, come nel tennis, non ci si può sottrarre. «Dio è un lungolinea » ed è pure «un pomeriggio triste che tutti attraversiamo». Un libro sulle rinunce, sui sensi di colpa, sulle domande intime che non ci siamo mai fatti («Ma davvero non sei mai stata a letto con un uomo?»), e invece dovremmo: «Mangiamo e beviamo, ché domani verrà la morte». Forse aveva ragione Foster Wallace con quella roba su Federer come esperienza religiosa.
(Repubblica, 8 agosto 2017)
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