Facciamo un'enorme fatica a ricordare il nome di tre campioni del mondo da quando Mike Tyson ha lasciato la boxe, eppure non c'è ancora un altro sport che meglio si presti a mettere la cornice intorno a vite sfregiate o in bilico. Pare quasi che oggi resti il suo scopo principale, raccontare altro anziché raccontarsi. Milo Montero è allora il pugile perfetto per tutto questo, e un nome azzeccato fa il venti percento di una buona storia. Lo chiamano One Way perché il suo, sul ring e forse fuori, è un andamento a senso unico: avanzare, avanzare, avanzare perfino quando arretra, così da attirare gli avversari in trappola. One Way è più di un soprannome, via via è diventato un marchio, un brand come si dice. Alle soglie dei trent'anni, Montero ha aperto palestre, ha lanciato sul mercato una bibita con il suo nome, si vede offrire ruoli e programmi dalla tv. È un'industria che si regge sui suoi pugni, quelli che dà e quelli che deve evitare di prendere su un occhio che è il suo tormento dal giorno in cui dovette portarlo sotto i ferri di un chirurgo. Ha disputato un solo match negli ultimi dieci mesi, ma guidato negli affari da sua sorella Irene, ora può battersi in Germania contro il tedesco Mayer, per poi concedersi una chance mondiale in Italia contro un cinese.
È la ragazza apparsa al suo fianco ad avergli restituito all'improvviso tutta questa energia dopo il divorzio dalla moglie Beth, che neppure le foto dall'Inghilterra gli aveva più rimandato indietro. Una ragazza senza nome, dall'inizio alla fine semplicemente "lei", studentessa pigra e modella in ascesa, ma in fondo davvero chissà cosa, rampante e triste, chissà da dove arriva, cosa sognava, cosa voleva, cosa davvero pensa e insegue questa ragazza che "tace sulla poltrona del salottino come sapesse da sempre qual è il suo ruolo".
Sei anni dopo l'esordio esplosivo di Troppo umana speranza, Alessandro Mari torna con Cronaca di lei (Feltrinelli) a raccontare certi umori della provincia, stavolta quella contemporanea, in un presente indicativo che pare già la bozza per una signora sceneggiatura. Cuce le storie di due persone che coi loro corpi lavorano e che devono tenersi le ferite dentro, due anime in cammino, due che cercano, "lei qualcosa dentro di sé, lui un altro momento senza il pensiero di ciò che deve fare e di ciò che non può fare". Ed è con Milo e con "lei" che Mari entra nei rispettivi mondi, vezzi e vizi, tic e stati d'animo, psicologie e patologie, "il fascino dei corpi in azione, la stupidità dei corpi in azione, l’intelligenza dei corpi in azione. Scimmie più evolute dell'evoluzione, e tutto il circo attorno". Soprattutto quello, soprattutto il circo. Il vecchio maestro Pietro Sciuto richiamato in servizio per l'evento mondiale; il giovane autista Denis, cupo e malinconico, gran custode di misteri e segreti; lo scrittore Leo Ruffo, ingaggiato dalla macchina della comunicazione dei Montero per scrivere una biografia da mandare in libreria appena il grande match sarà concluso. Un posto dove stai bene se ti converti al cinismo. "Se cade lui cadiamo tutti". Ma sia Milo sia "lei" saranno chiamati a scegliere da quale parte stare, mentre la boxe va in declino perché è un'arte come le altre, "pochi riescono a capirla" e la folla preferisce combattimenti diversi, magari finti, più finti del match che s'aprirà dentro la coppia, fino a chiedersi come continuare ad amarsi facendosi schifo. Nella boxe un pugno solo può tutto, un colpo solo al momento giusto. "Sul ring ne basta uno, e tutto quello che hai fatto se ne va o rimane. E quel pugno puoi darlo tu o te lo puoi andare a prendere". Il punto è un altro. "C’è troppo tempo fino a quel pugno". E quel tempo lo devi riempire. Mica solo nella boxe.
(su Robinson del 27 agosto 2017)
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