mercoledì 4 febbraio 2015

Bad boy Maurito e la Milano degli eccessi


UNO era fuggito dal ritiro dell'Under 21 francese per andare in discoteca, un altro aveva nel curriculum lo sputo a un avversario e un arresto per minacce a un tassista. Il terzo tuittava dai letti ancora caldi d'amore e il quarto, be', il quarto era Osvaldo. Fu quando gli misero dentro lo spogliatoio tutto questo ben di dio — M'Vila, Medel e Icardi insieme al calcio ribelle di Daniel — che a Walter Mazzarri vennero le ultime parole famose: «Mi piace allenare giocatori non banali». Era luglio. Poi l'estate finisce, si torna in città e pure i playboy di Milano Marittima conoscono la routine. Tutti. Tranne gli interisti. Ormai rassegnati dinanzi alla vocazione del club ad attrarre, come dire, i creativi.
Non sono cattivi ragazzi. È che ogni tanto gli vengono i cinque minuti. Per metterla sul piano letterario, il calcio li chiama "bad boys". Non sono forse gli anticonformisti a far innamorare ogni Emma Bovary? «Io bad boy? No, sono tranquillo », disse l'uomo che provò a mettere le mani addosso al compagno che contro la Juve non gli aveva passato la palla. «Non sono un bad boy», insisteva l'altro, «sono sempre a casa in famiglia», prima di andare a zittire i tifosi faccia a faccia. Come fosse un pegno da pagare, tutto questo accade nel tempio dello "zanettismo", da Javier Zanetti, il meno non-banale di tutti: i capelli sempre pettinati, il simbolo della correttezza, uno così buono da aver segnato appena una ventina di gol in 858 partite, per non dare troppi dispiaceri agli avversari. Neanche Mancini ora riesce a raffreddare questa lastra di ghisa che fonde. Sarà per via del patrimonio genetico dell'Inter. Una volta qui c'era Benito Lorenzi, non per niente detto Veleno. Un calcio all'arbitro ai Mondiali, un limone piazzato sul dischetto del rigore in un derby per far sbagliare Cucchiaroni e avversari intimiditi in mischia con una strizzatina proprio lì.

Gli interisti lo sanno. Una volta Materazzi la butta in rissa con Cirillo, un'altra Schelotto con Cigarini. Sempre Materazzi vince la Champions e mette una t-shirt con cui sfotte gli juventini in pieno trauma post-Calciopoli: «Rivolete anche questa?». Una delle prime zuffe certificate arriva in un Inter-Genoa del ‘25. Pugilato puro. Zamberletti prende un pugno e sta fuori un anno intero. Fino al match Cassano-Stramaccioni. È un'aria talmente frizzante che se un interista va via se la porta dietro. Vedi Balotelli-Mancini a Manchester. Oppure Ibrahimovic che a Parigi in allenamento fa sentire i muscoli a Nené. Commento del dg Leonardo, ex interista pure lui: «C'è bisogno di aggressività». Un virus. Certo, la Lazio di Chinaglia resta ancora lontana. Però chissà, con gli anni. C'è un pantheon di bad boys a cui fare riferimento. Milano ti avvolge. L'olandese Van der Meyde, tra eccessi vari, ha raccontato nell'autobiografia di avere avuto uno zoo in casa: cavalli, tartarughe e zebre. Una sera scoprì che sua moglie aveva comprato pure un cammello. Antonio Angelillo, "angelo dalla faccia sporca", si giocò la maglia per la relazione con una ballerina di night. Shalimov, giocatore più classico, perse la testa per una della Scala. Di Adriano si sa. Sette anni fa, nei bagni di un locale, Jimenez fece a pugni con Pinilla. Pare per una storia di donne. Succede, a forza di sentire "amala". Era il 2001 quando seguendo cinque signorine la polizia di Milano intercettò una scappatella di gruppo di alcuni calciatori. La procura diffuse la notizia con un certo garbo. Si limitò a dire che si trattava di giocatori d'una «squadra milanese in difficoltà». Il Milan era quinto, l'Inter dodicesima, tutti capirono. Ecco. Se non altro, oggi la procura ci lascerebbe con il dubbio.

(la Repubblica, 3 febbraio 2015)

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