Il “giuoco” del titolo dice già parecchio. Senza cedimenti a una nostalgia improbabile (Brizzi ha un mucchio di libri alle spalle ma appena 40 anni), al libro preme raccontare soprattutto modi e motivi di uno slittamento di classe, come cioè il football degli esordi sia diventato malattia nazionale, per quali vie nello spazio di una cinquantina d’anni da attività d’élite, per pochi e nobili, questo sport si sia trasformato in intrattenimento popolare, e poi addirittura il miglior strumento per capire e raccontare il Paese, se non il mondo.
Nel passaggio da un calcio in cui una squadra poteva essere fondata dal duca degli Abruzzi, nipote di Vittorio Emanuele II, a quello che vede assegnare al Bologna il primo scudetto fuori dal triangolo Liguria-Lombardia-Piemonte fra colpi di pistola in una stazione ferroviaria, si incontrano stili e profili perduti: tornei in cui bastava una sola partita per diventare campioni d’Italia, calciatori che erano anche presidenti, o arbitri, o pittori.
Brizzi si diverte a lasciar intravedere analogie e distanze con lo spirito dei tempi. Le prime rivalità e le polemiche (quando la federazione salvò la Juve dalla retrocessione, portandola poi nel girone lombardo per motivi di ordine pubblico, dinanzi al risentimento del resto del Piemonte), le liti e le scissioni, la diffusione verso sud e l’iniziale gap tra le forze in campo anche in questo settore della vita nazionale. Insieme a qualche dubbio sollevato su verità leggendarie giunte fino a noi (la genesi dei colori delle maglie di Juventus e Torino, per esempio), c’è un serio lavoro di verifica storica, una sistematizzazione di informazioni note arricchite di dettagli, intrecciate in modo convincente agli eventi storici e al cammino della società italiana. Uno dei capitoli più belli è dedicato alla generazione dei calciatori italiani caduti nella Grande guerra, fino alla chiusura con l’avvento del fascismo e la fine della libertà, che coincidono con il punto più alto raggiunto fino a quel momento dal calcio italiano. Preziosissimo l’indice dei nomi. È già annunciato un seguito.
(Il Venerdì, 20 febbraio 2015)
Brizzi si diverte a lasciar intravedere analogie e distanze con lo spirito dei tempi. Le prime rivalità e le polemiche (quando la federazione salvò la Juve dalla retrocessione, portandola poi nel girone lombardo per motivi di ordine pubblico, dinanzi al risentimento del resto del Piemonte), le liti e le scissioni, la diffusione verso sud e l’iniziale gap tra le forze in campo anche in questo settore della vita nazionale. Insieme a qualche dubbio sollevato su verità leggendarie giunte fino a noi (la genesi dei colori delle maglie di Juventus e Torino, per esempio), c’è un serio lavoro di verifica storica, una sistematizzazione di informazioni note arricchite di dettagli, intrecciate in modo convincente agli eventi storici e al cammino della società italiana. Uno dei capitoli più belli è dedicato alla generazione dei calciatori italiani caduti nella Grande guerra, fino alla chiusura con l’avvento del fascismo e la fine della libertà, che coincidono con il punto più alto raggiunto fino a quel momento dal calcio italiano. Preziosissimo l’indice dei nomi. È già annunciato un seguito.
(Il Venerdì, 20 febbraio 2015)
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