Sik Sik, l'artefice magico
Deve essere accaduto
davvero qualcosa, nelle nostre teste, nei nostri sguardi, se verso l’obesità
avvertiamo quello che Davut Grossi chiama "biasimo sociale". Come un clic improvviso, ma inesorabile, scattato per creare una
discriminazione nuova. Nella città in cui l’affetto verso i figli è sempre stato
direttamente proporzionale al cibo che gli viene offerto ("mangia, a mamma") e
in una regione dove il tasso di obesità infantile è la più alta d’Europa (il 49
per cento), il disprezzo per i chiattoni non ha mai trovato riverberi nel
canone, antropologico e soprattutto letterario, di Napoli.
Il cibo accompagna le
feste da santificare, i chili in più entrano nella iconografia. A cominciare da
quella sacra. Roberto De Simone, ne "Il presepe popolare napoletano", ricorda
che Maria è rappresentata in alcuni casi con il sedere grosso e i fianchi
larghi, al punto da essere detta Mamma Chiatta. Del resto, recita il Libro dei
Salmi, "il giusto sarà pingue e rigoglioso". Boccaccio, il cui legame con Napoli
è noto, celebrava come fattore chiave dell’erotismo le rotondità. E nell’Aminta,
il sorrentino Torquato Tasso tesseva l’elogio d’una bocca vermigliuzza e di
"guance pienotte e delicate". La donna procace e piacente, la celebre
"ciaciona", ha avuto una lunga e luminosa rappresentazione, fino alle figure
femminili di Annibale Ruccello.
È il regime del
matriarcato napoletano a imporre la sazietà come criterio di benessere. Il
timido Gaetano di Massimo Troisi che in "Ricomincio da tre" s’avvia in gita con
il predicatore Frank, si vede costretto a portarsi dietro le frittatine della
zia. "Vino e maccarune", si diceva all’inizio del secolo scorso "songo ‘a cura
p’’e pulmune". Il cibo è terapia, il cibo è rimedio. Il termine "chiatto" si
incontra spesso e volentieri con accezioni positive. Quando un uomo "trase ‘e
sicco e se mette ‘e chiatto" ha di sicuro migliorato la sua posizione. Quel
termine può raccontare sia un moto di orgoglio per un complimento ("S’è fatto
chiatto chiatto") sia uno slancio di sincerità, come testimonia la canzone "Lo
Guarracino": "A Vavosa pisse pisse, chiatto e tunno nce lo disse".
C’è di più. Se
un’avversione si coglie nell’immaginario storico napoletano, questa semmai è
rivolta agli smilzi, ai mingherlini, che addosso portano il peso di un’esistenza
da macchietta. È di loro che si ride. Si ride di Felice Sciosciammocca, la
maschera che prese il posto di Pulcinella e che secondo Salvatore Quasimodo
viveva dentro "un abituccio magro e nodoso". Si ride del maldestro illusionista
di Eduardo, Sik-Sik, sin dal nome condannato a dolente parodia. Siamo
addirittura nel ‘700 quando il libro "Del dialetto napoletano" di Ferdinando
Galiani, l’aggettivo "sicco" ha per sinonimi "zi pichillo" e "strunzillo". La
magrezza è una condizione poco invidiabile, la peggiore in vita ("‘O napulitano
se fa sicco ma nun more"). È portatrice di calamità: "A cavallo sicco ‘o
Pataterno ‘nce manna ‘e mmosche". I guai chiamano guai. Il marito geloso della
canzone "Acquaiola ‘e Margellina" può sembrare un Otello "però nun tene sanghe
dint’’e vvene, è sicco, è lluongo, comm’’a nu stecchino". Magro vuol dire
anemico, ligneo, spento. Anche il mal d’amore rende gracili e dunque poco
attraenti, come si canta in "Te voglio bene assaje": "Guárdame ‘nfaccia e vide /
comme sòngo arredutto / Sicco, peliento e brutto / nennélla mia, pe’ te!".
Eppure, un giorno capita di vedere
azzerati un insieme di simboli e di concetti custoditi nella memoria. È la tribù
di Napoli che abbraccia la storia e la modernità, per dirla in termini
pasoliniani. Smette di rifiutare "l’irrisorio benessere", abbraccia la società
anoressica di cui parla Grossi e nei carrozzini giocattolo delle bambine
sostituisce Cicciobello con Barbie. Così Roberto Saviano, in "Super Santos", ci
ricorda che oggi per un ragazzo grasso la sola occasione di giocare a calcio è
accettare d’andare in porta. Ma l’ultimo passaggio dell’avvenuta mutazione
antropologico-letteraria vive forse nelle pagine di Peppe Lanzetta con il
personaggio di Ugo Peppenella (il romanzo è "Il cavallo di ritorno"). Peppenella
è definito il commissario più grasso del mondo. Gran mangiatore di kebab e
bevitore di birra, è l’unico napoletano a tifare per la Juventus. Più cattivo di
così.(uscito su Repubblica Napoli il 24 ottobre)
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