Metto qui, il secondo capitolo di uno studio che feci nel 1993 sulla traduzione in inglese dei lavori di Eduardo De Filippo: le scelte linguistiche, i motivi del successo. Sperando che possa essere utile a qualche studente.
[Capitolo 1: L'universalità del suo teatro]
2.
Tradurre il teatro
"La traduzione
teatrale non è un'operazione
linguistica:
è un'attività drammaturgica"
(E.
Cary)
Tutti i più grandi teorici della traduzione concordano su un
punto: il testo teatrale
merita considerazioni a parte. Non consente che gli siano applicate generalizzazioni,
tanto sono fragili i suoi equilibri. "L'atmosfera di un testo teatrale si
compone di imponderabili e bastano pochi particolari qua e là mal riusciti
perché il testo
non renda il suo giusto timbro"1. Lo scrive
Georges Mounin, professore di linguistica
e stilistica francese alla Facoltà di Lettere di Aix-en-Provence. "La traduzione
teatrale può mostrare quale sia, per una versione integralmente fedele, l'importanza
di quei complessi elementi che abbiamo chiamati i diversi contesti di un
enunciato. Infatti, l'enunciato teatrale è concepito proprio in vista di quei contesti,
perché è sempre scritto in funzione di un dato pubblico, che in sé riassume
quei contesti e conosce quali situazioni essi esprimano, quasi sempre per
allusione: contesto letterario (la tradizione teatrale del Paese nel quale
l'opera teatrale
viene scritta), contesto sociale, morale, culturale in senso largo, geografico,
storico - contesto dell'intera civiltà presente in ogni punto del testo, sulla
scena e in platea"2.
Lo stesso termine "traduzione"
non è sempre proprio, quando si parla di teatro. "Tradurre un'opera teatrale - spiega
Mounin - ha voluto dire e vuol dire ancora oggi
vincere tutte le resistenze sorde, inconfessate, che una cultura oppone alla penetrazione
di un'altra cultura dal momento in cui non si tratta più di una comunicazione
puramente intellettuale. E per di più la traduzione teatrale è quasi senza
appello, il testo resiste o non resiste alla recitazione (...). Di qui si capisce perché la
traduzione teatrale, quando non è scritta per un'edizione scolastica, universitaria
o critica, bensì per la recitazione, debba trattare il testo in modo da poter essere
considerata tanto un adattamento quanto una traduzione"4.
L'adattamento viene spesso indicato quale
soluzione migliore per l'esportazione
di un testo teatrale. "Prima della fedeltà al vocabolario,
alla grammatica, alla sintassi e persino allo stile di ogni singola frase del
testo, deve venire la fedeltà a quel che, nel Paese d'origine, ha fatto di quell'opera
un successo teatrale. Bisogna tradurre il valore teatrale prima di preoccuparsi
di rendere i valori letterari o poetici, e se fra quelli e questi si crea un conflitto,
bisognerà scegliere il primo contro i secondi. Come diceva Merimèe, bisogna
non già tradurre il testo (scritto) ma l'opera (recitata)"5.
Così, il curatore di una traduzione
teatrale solitamente fa ricorso a procedimenti
che siano poco fedeli all'originale, "perché non deve soltanto tradurre
enunciati bensì anche contesti e situazioni, in modo che sia possibile comprenderli
tanto immediatamente da poterne ridere o piangere"6. Si tratta, per lo più,
di quei procedimenti che Vinay e Darbelnet, nella loro Stylistique comparée du
francais et de l'anglais
classificano come trasposizione o equivalenza. Con qualche
semplificazione, si potrebbe sostenere che la trasposizione consiste nel sostituire
una parte del discorso con un'altra, senza però alterare il senso del messaggio
(l'esempio classico è: "After he comes back" = "Al suo
ritorno").
Nell'equivalenza, invece, la libertà del
traduttore è ancora più ampia. Il messaggio,
infatti, è tradotto con un enunciato completamente diverso, ma di senso uguale (esempio: "Comme un chien dans un jeu
de quilles" = "Come un elefante
fra le porcellane"). Sempre che sia effettivamente possibile ottenere in linguistica
due enunciati sovrapponibili alla perfezione: situazione, questa, dimostrabile
con gigantesche difficoltà. Fra i criteri dei due studiosi francesi,
il caso limite è costituito appunto dall'adattamento,
con cui si cerca di riprodurre una situazione intraducibile con un'altra
più o meno simile. Un paragone americano tratto dal linguaggio del baseball,
lo sport nazionale negli Usa, dovrebbe così essere reso con un paragone
italiano suggerito dal calcio.
Vedremo che, in qualche caso, le
traduzioni delle commedie di Eduardo soffrono
proprio del mancato rispetto di queste regole. "Per tradurre un testo scritto
in una lingua straniera, bisogna dunque rispettare due condizioni, e non una soltanto;
due condizioni necessarie, nessuna delle quali è sufficiente di per sé stessa: conoscere
la lingua, e conoscere la civiltà di cui parla questa lingua (e ciò significa
la vita, la cultura, l'etnografia più completa del popolo di cui questa lingua è il
mezzo d'espressione)"7. Non sempre i
traduttori di Eduardo hanno seguito i suggerimenti
dettati dalla teoria. Talvolta, il curatore della versione inglese è rimasto
ingannato da errori d'interpretazione. Interpretazione che "rappresenta una
sfida per il traduttore. Soprattutto quando
deve affrontare testimonianze di un'epoca remota o di una cultura lontana geograficamente,
egli deve sondare stratificazioni di sviluppo semantico: le parole in quanto
spiriti, miti, persone, oggetti, oggetti e simboli, metafore, idiomi; i concetti
astratti poi possono essere personificati o reificati. Solo una profonda conoscenza
etnologica e linguistica può aiutarlo a dare il "taglio" adeguato e
può essere
continuamente necessario ridefinire molti termini-chiave generali come il latino
virtus o il francese gentilhomme"8.
Un ostacolo imponente, insomma. Del resto,
ogni traduzione comporta una certa perdita di significato per una serie di circostanze.
Il tedesco Haas sostiene che quando il testo descrive una situazione che
presenta elementi tipici dell'ambiente naturale, delle istituzioni e della
cultura della sua
area linguistica, questa perdita di significato è addirittura inevitabile. Inoltre,
due lingue, sia nelle loro caratteristiche generali che nelle loro varietà sociali
hanno sistemi diversi ed interpretano in maniera diversa soprattutto i concetti
intellettuali.
Infine, bisogna considerare che
l'uso individuale della lingua del traduttore e quello
dell'autore, ovviamente, non coincidono. Secondo quanto sostiene Wilhelm von
Humboldt, sarebbe da escludere la possibilità
di ottenere adattamenti o versioni pienamente convincenti, in quanto la lingua
frappone tra lo sguardo dell'uomo e l'oggetto osservato un prisma deformante.
un prisma che varia da lingua a lingua. E quest'ultima, poi, si presenterebbe
come lo strumento attraverso il quale l'uomo crea sin dall'infanzia il suo modo
di guardare. "La visione del mondo di ogni uomo è dunque in certo qual modo
predeterminata dalla sua lingua: così una lingua in cui l'uomo che lavora la terra,
l'uomo stupido, l'uomo senza religione e l'uomo di abitudini animalesche, sono
confusi in un medesimo termine, spinge fin dalla più tenera infanzia a disprezzare
il lavoro dei campi"9.
Le difficoltà nella comunicazione fra
esponenti di culture o civiltà diverse, secondo gli
etnografi, non sono affatto un aspetto marginale. Anzi, finiscono per costituire
addirittura una barriera per la comunicazione completa. "E' estremamente difficile raggiungere
l'effettiva comunicazione, anche quando ci si
trova in una situazione di lingua unica e di unica cultura. E' quindi evidente
che quando si
passa ad una situazione bilingue e pluriculturale i problemi diventano ancor più
complessi (...). Il grado di traducibilità di una qualunque enunciazione in una data
lingua è in rapporto diretto con la somiglianza fra le due culture in questione;
(...) più grande è la distanza culturale, maggiore diventa l'intraducibilità di una
data enunciazione"10.
Uno dei motivi, quest'ultimo, che spinge
molti a preferire la versione alla traduzione
pura, perchè "più letterale, più aderente alle strutture proprie della lingua
d'origine, e più asservita, per quanto riguarda i mezzi, ai principi della costruzione
analitica; mentre la traduzione bada maggiormente al significato essenziale
dei pensieri espressi, più attenta a renderli nella forma che loro conviene
secondo la nuova lingua, e quindi, nelle sue espressioni, più sottoposta ai modi di
dire e agli idiotismi di tale lingua" 11.
La sua posizione, sarà bene precisarlo, è
quella di un traduttore. Con le sue affermazioni,
ben pochi linguisti sarebbero d'accordo. Quello che Saba Sardi chiama
"impasto", poi, non è stato nemmeno preso in considerazione come possibile
soluzione per le versioni inglesi delle commedie eduardiane. Vedremo, però,
come Keith Waterhouse e Willis Hall, i due drammaturghi che s'erano occupati
con successo della traduzione di Sabato, domenica e lunedì, ignoreranno
per Filumena Marturano qualsiasi adesione all'essenza popolare del personaggio,
Nel senso che, con la loro traduzione, cancelleranno da esso ogni traccia
di appartenenza a quel preciso ceto sociale che è il sottoproletariato napoletano.
Malgrado avessero a loro disposizione i dialetti urbani londinesi, una scelta
che si sarebbe potuta rivelare assai valida, se è vero che "nelle moderne società,
e in modo particolare in quelle anglofone, vi è una correlazione precisa tra l'uso di
un dialetto e la collocazione nella scala sociale del parlante"16.
Furono fatte, spesso, scelte criticabili.
Eppure, nonostante qualche traduzione infelice,
le commedie di De Filippo hanno sempre avuto ottime critiche e gran successo
di pubblico. Lo stesso che ha portato l'Accademia
nazionale dei Lincei a scrivere: "I testi di Eduardo
vivono al di là dell'efficace interpretazione data dal loro autore. Se così non
fosse, non si riuscirebbe a spiegare il successo che essi hanno riscosso fuori dalla
loro terra d'origine, tradotti e recitati in lingue diverse"17.
La forza del teatro di De Filippo
risiederebbe, secondo Elio Nissim, nei suoi personaggi,
anche quando sono stati mortificati da versioni poco credibili. "Non sono nè
eroi nè pagliacci nel senso basso e vile di questa parola. Sono uomini - spesso in
parte eroi e in parte pagliacci - e ciascuno di loro ha le caratteristiche della
propria personalità, della propria natura e della terra in cui è nato o in cui vive.
Perchè, come in un albero, in ogni essere umano le radici hanno una grande importanza.
Questo può spiegare perchè il teatro di Eduardo, se tradotto in inglese
con la dovuta comprensione, non perde del suo valore e non crea problemi d'interpretazione,
mentre spesso, molti dei lavori del teatro inglese di oggi se tradotti
in italiano, anche con le migliori intenzioni non riescono a comunicare al pubblico
italiano la profondità e le sottigliezze del testo inglese e si prestano a essere
fraintesi. Questo può sembrare quasi un paradosso data la squisita assenza
di sapore nazionale e regionale delle commedie di Eduardo De Filippo"18.
Il feeling intenso e particolare esistito
tra Eduardo e l'Inghilterra è confermato dalle
parole del figlio Luca, che precisa: "Il rapporto delle sue commedie con la Francia,
insomma, è stato spesso conflittuale. Ben diverso da quello con l'Inghilterra"19. Infatti, come spiega Bernard Dort, critico e storico di
teatro, agli occhi del
pubblico francese "la mitologia di una Napoli allegra e sempre in festa aveva la
meglio sul fondo amaro e drammatico del teatro di Eduardo"20. Quel fondo
amaro, invece, l'Inghilterra non l'ha mai ignorato. E non l'ha mai tradito,
nelle sue
versioni. "E' molto più facile - spiega inoltre Luca De Filippo - tradurre Eduardo
in una lingua straniera che in italiano. Perché l'italiano è una lingua che, rispetto
al napoletano, non ha un rapporto così stretto col teatro, in quanto è una lingua
non parlata... In Italia non si parla quasi da nessuna parte l'italiano: si
parla un
italiano "dialettizzato". E' il teatro che deve essere molto rapido,
veloce nel dare...
una commedia dura due ore e mezzo, ha da dire delle cose, quindi bisogna
essere precisi: tà tà, colpire immediatamente il segno. E con l'italiano non è
facile..."21. Un'opinione
che, probabilmente, non molti linguisti sottoscriverebbero al giorno d'oggi.
Ma questa stessa tesi, fino a un secolo fa, aveva illustri sostenitori. "Carlo Gozzi e
Ugo Foscolo erano spinti a definire l'italiano "una lingua morta", il
Manzoni a
ripetere l'espressione e a negare che gli scrittori italiani disponessero d'una lingua
"viva e vera", il Leopardi a rilevare l'aridità dell'italiano"22.
In qualche modo, deve averlo pensato
lo stesso Eduardo, quando gli fu proposto
di tradurre La Tempesta di Shakespeare. Scelse il dialetto napoletano. Offrendo
nella postfazione il proprio punto di vista sulla questione delle traduzioni. In
qualche modo, anche un piccolo indizio su quale tipo di versione avrebbe
gradito per le
sue commedie. "Ho cercato di essere il più possibile fedele al testo, come, a mio
parere, si dovrebbe essere nel tradurre, ma non sempre ci sono riuscito. Talvolta,
specie nelle scene comiche, l'attore in me si ribellava a giochi di parole ormai
privi di significato, e allora li ho cambiati; altre volte ho sentito il
bisogno di aggiungere
alcuni versi per spiegare meglio a me stesso e al pubblico qualche concetto"23. Ed ancora: "Devo aggiungere - continua Eduardo - che in un
certo senso ho
tradotto direttamente dall'inglese, perché mia moglie Isabella mi ha trasportato
in italiano letteralmente tutta la commedia, atto per atto, scena per scena,
cercando poi in certi suoi libri inglesi il significato doppio e a volte triplo
di certe
parole arcaiche che non mi persuadevano"24.
NOTE
1 Georges Mounin, Teoria e storia della
traduzione, trad. it. Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1965, pag. 158
2 Georges
Mounin, op. cit., pag. 153
3 Georges
Mounin, op. cit., pag. 154
4 Georges
Mounin, op. cit., pag. 155
5 Georges
Mounin, op. cit., pag. 155
6 Georges
Mounin, op. cit., pag. 155
7 Georges
Mounin, op. cit., pag. 122
8 Peter Newmark, La traduzione, problemi e
metodi, Garzanti 1988, pag. 72
9 Georges Mounin, op. cit., pag.
8810 Leon Dostert, atti dal convegno
di interpreti che lavorarono ai processi di Norimberga
11 Georges
Mounin, op. cit., pag. 20
12 Georges
Mounin, op. cit., pag. 23
13 Thomas Frank, Introduzione allo studio
della lingua inglese, Il Mulino, Bologna 1989, pag. 239
14 Peter
Newmark, op. cit., pagg. 31-32
15 G.B. Shaw,
op. cit., pagg. 16-17
16 Thomas
Frank, op. cit., pag. 237
17 Accademia nazionale dei Lincei, Estratto
delle adunanze straordinarie per il conferimento dei premi "Antonio
Feltrinelli", seduta del 18
dicembre 1972, vol. I, fascicolo 10
18 Elio Nissim, art. cit. in op.
cit., pagg. 32-33
19 Luigi Vaccari, L'italiano è un rischio
in più, , 13 ottobre 1989, pag. 24
20 Maria Grazia Tajè, Solo ora sconfitto un
antico pregiudizio, , 13 ottobre 1989, pag. 24
21 Luigi Vaccari, art. cit.
22 Tullio De Mauro, Storia linguistica
dell'Italia unita, Manuali Laterza, Bari 1991 (prima ed. 1963), pag. 31
23 Eduardo De Filippo, La tempesta,
trad. da William Shakespeare, Einaudi, Torino 1984, pag. 186
24 Eduardo De Filippo, op. cit., pag.
187
Capitolo 1: L'universalità del suo teatro
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