Io sono entrato per caso dentro questo epos senza trionfi. Ero il brutto anatroccolo della storia. Giocavo in una piccola squadra di Amsterdam, il Door Wilskracht Sterk, diciamo pure il DWS, nei giorni in cui il calcio ad Amsterdam era soprattutto l'Ajax. Loro vincevano le Coppe dei Campioni, noi andavamo verso il declino e verso la fusione con altre due squadre, dopo il picco toccato con il titolo olandese del '64. Ero basso, tozzo, dicevano sgraziato. La nazionale mi aveva dato un'occasione nel '62 perché davvero evidentemente ne davano una a tutti, presi quattro gol dalla Danimarca e finì lì. Anche per questo, non mi ero fatto troppe illusioni sul conto del calcio. Certo, giocavo in serie A ma senza perdere di vista la mia vita, la tabaccheria di famiglia da mandare avanti. La sigaretta è il tipo perfetto di un piacere perfetto. È squisita e lascia insoddisfatti. Che cosa si può volere di più? Lo diceva Oscar Wilde, che sia benedetto. Quando ripenso alla sua frase, al piacere squisito e insoddisfatto, ecco, io penso anche a noi. Al '74 e al '78, ai nostri due campionati mondiali persi in finale, tutt'e due contro la squadra di casa, la Germania e l'Argentina. Rinus Michels cercava un titolare. Quelli che in squadra avevano voce in capitolo, e intendo dire Crujiff, non si fidavano di Jan van Beveren: la conoscete la sua storia, vero? Dodici anni dopo la mia sola apparizione in nazionale, il ct tornò a chiamarmi per un'amichevole con l'Argentina. E poi per i Mondiali. Be', mi dissi, non sarà la fine del mondo se per un'estate lascio la tabaccheria in altre mani. Ma la pesca no, la pesca non l'avrei mai trascurata. Era l'altra mia grande passione. A parte il calcio, dico. Così, quando partimmo per la Germania, portai con me la canna, le esche, tutto: non si sa mai, pensai, magari ci scappa un giorno al lago. Michels mi disse che avrei avuto le mie occasioni, spiegò cosa si aspettava dal portiere della sua Olanda, voleva che fosse una specie di libero alle spalle della difesa. Bisognava saper giocare con i piedi, e io sapevo farlo. E se cercava quello, allora ero sicuro che non sarei andato in Germania a fare il terzo.
Jongbloed con Cruyff |
Il rigore segnato da Breitner a Jongbloed |
Il 23 settembre del 1984 Erik Jongbloed, figlio di Jan, giocava in serie D con la vecchia DWS, stesso stile del padre, bravo in uscita e con i piedi. Aveva 21 anni, avversario quel giorno era il Rood-Wit. Il tempo peggiorò all'improvviso, il sole sparì, arrivarono le nuvole, poi un acquazzone, una tempesta. Erik andò al rinvio dalla sua area piccola. Di solito calciava Rob Stenacker, un difensore. Erik gli disse Va' fuori, rilancio io, e così gli ha salvato la vita. Sul campo si abbatté un fulmine, si sentì un bang, una nuvola di fumo si alzò dentro l'area di rigore ed Erik era là, a terra, senza vita, accanto alla porta. Avvertirono subito Jan, e nessuno sapeva cosa fare.
(Come per l’intera serie, le parole liberamente attribuite a Jan Jongbloed ono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti)
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