mercoledì 9 aprile 2014

Marisa e la fecondazione eterologa


Oggi che il divieto di fecondazione eterologa è illegale, penso a Marisa e a suo marito che incontrai nove anni fa. 
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Marisa ha un bimbo nel pancione e un segreto nel cuore. Suo figlio nascerà a novembre, il segreto dovrà tenerselo dentro. "Ho cominciato l'eterologa in Italia, quando non era proibita". Ha dovuto completarla a Barcellona, da fuorilegge, un cammino di speranza, paura e umiliazioni: 35 anni lei, suo marito poco sopra i 40, sterile. Decidono di provarci per un'altra via.



Così, una donazione di seme produce due embrioni crio-conservati in un centro campano, ma quando il Parlamento approva la legge 40, i medici si rifiutano di trasferirli in utero. "Non possiamo più". Appena un mese prima, l'intervento era saltato per un'infezione. I due embrioni restano lì. Marisa e suo marito, una coppia della provincia napoletana, chiedono consiglio all'associazione Amica Cicogna. "Aspettiamo il referendum", è la risposta che a loro non basta. La soluzione è Internet. Naviga qua, clicca là, pescano un centro a Barcellona. Lei prende le ferie, lui un permesso. Partono. Agli amici dicono che è una vacanza, buon viaggio, beati voi. Il medico catalano neppure guarda le analisi e i controlli fatti ogni mese per due anni. Ne ordina altri. Dos mila euro, señora, 2 mila euro e ricominciamo. I controlli spagnoli confermano gli esiti napoletani: spermatozoi immobili. Marisa va in cura, perché è comunque sul corpo della donna che casca lo strazio della terapia. «Non è forse per amore che s'accetta tutto questo?». Ormoni, ormoni, ormoni. «Il medico in Spagna mi disse di seguire le sue indicazioni esattamente. Non avrei dovuto mai telefonargli e tornare con gli ovociti maturi». Due colloqui in tutto fanno 700 euro. Ma a casa qualcosa non va. Marisa patisce l'iperstimolazione, il suo ginecologo napoletano le consiglia di ridurre le dosi, poi di interrompere. Rischia serissime conseguenze alle ovaie. "Meglio chiamare in Spagna, penso. Non mi passano il dottore. Riprovo i giorni seguenti, e finalmente lo rintraccio. Si arrabbia, mi insulta. Dice che avrei dovuto avvertirlo, dice che aveva il seme pronto e che gli ho fatto saltare il protocollo". Marisa vacilla, sta per arrendersi, si ferma due mesi. Si rasserena e richiama in Spagna. "Riproviamo?". Bueno, señora, riproviamo, 350 euro. Poi c'è da pagare il viaggio aereo e l'albergo. "Mi riceve nello stesso studio e prescrive la stessa terapia dell'altra volta". Per fortuna Marisa se ne accorge, il medico s'era dimenticato del problema. La cura funziona, arriva il giorno del prelievo. A Marisa fanno l'anestesia, bucano le ovaie e prendono 15 ovociti. "Dopo qualche giorno, la sorpresa: non erano 15, ma 6". E gli altri nove? "Si sono persi nei prelievi, spiegano in laboratorio. Rispondo che è impossibile, replicano che io sono la paziente, non il medico". Sei ovociti producono 4 embrioni, già scesi a 3 il giorno dopo. "Perché? E' la natura: abbia fiducia". Marisa si sforza, salvo verificare che in utero gliene trasferiscono solo 2. Fa l'ecografia. "Bueno: abbiamo una falsa gravidanza". Sarebbe? 2Sarebbe che l'utero è accogliente, ma gli embrioni non hanno la forza di svilupparsi. La prossima volta andrà meglio", sono ottimisti in clinica. La prossima volta. Marisa si ferma un mese, e a febbraio 2005 ricomincia il percorso: 15 ovociti prelevati, quei distratti del laboratorio che ne perdono altri 7, il seme esterno che ne feconda 2, l'impianto in utero che stavolta attecchisce. Comincia una gravidanza gemellare, ma il supplizio non è finito: dopo due mesi rimane un solo feto. Marisa sarà mamma il prossimo novembre, dopo aver nascosto a tutti il penoso cammino, le ferite, le mortificazioni e i pericoli vissuti. Dovrà tenersi dentro un segreto pagato 16 mila euro, 10 mila in più di quanto l'intervento costerebbe in Italia, se fosse lecito. Lo chiamano turismo procreativo.

Quest'articolo è uscito su la Repubblica, edizione Napoli, l'undici giugno 2005

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