sabato 26 aprile 2014

Storia di un giubbotto che diventò un romanzo


La prima volta che ho incontrato l’editore ho pensato che sotto sotto c’era una fregatura. Perché mi ascoltava. Non può essere, mi ripetevo nella mente, anche se non credo che lui l’abbia capito, non può essere che ci sia una persona vera, qui, interessata a questa storia. “Qui” significa il tavolino di un bar nella grande pancia della stazione di Napoli Centrale, ci aveva messi in contatto un’amica che aveva letto qualche pagina. Io presi un muffin, lui non me lo ricordo, non riesco sempre a ricordare tutto: e questa inadeguatezza fa già di me un clandestino dentro questa rubrica di giovani scrittori.
(continua a leggere su Parallelo 41)

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