sabato 14 febbraio 2009

Dalla parte di Marco Marfè

COME Lily Allen. Però al contrario. Lei è la londinese che nel 2005 mise in rete le sue canzoni, finendo a forza di clic da Myspace fino alla Bbc e al primo disco. Lui è capitato dentro YouTube e fra gli insulti di Facebook. Non è per la sua dance pop che Marco Marfè conta un milione di visite. Sberleffi e derisione. Eppure è un grande numero, e tanto basta alla tv vorace per emendare se stessa e invertire la rotta. Non funziona, si erano detti bocciandolo al provino. Altro che. Nell'era del mito del successo senza merito, l'uso che in questi giorni la tv fa di Marco Marfè è addirittura più avanti di isole, talpe e grandifratelli. È la costruzione di un boom che nasce da un fiasco. Il pubblico lo chiede, al pubblico si dà. È Misery che non deve morire. Soprattutto oggi che la tv ha rigenerato se stessa intorno a un ossimoro, "reality show", navigando così dentro quella società delle immagini in cui contano alla stessa maniera ciò che si vede e ciò che sta dietro: i film e i "making of", la partita di calcio e i microfoni accanto alle panchine, le voci alla radio (Fiorello e Linus) e i volti sullo schermo.
Figurarsi se un backstage che si muove e parla come Marco Marfè, non ingolosiva il villaggio globale tv affamato di un "frizzantino" da deridere. All'inizio fu così persino con Jovanotti. Macco Marfè è la declinazione neomelodica di "Chance Giardiniere", il candido Peter Sellers del film cult "Oltre il giardino", scaraventato nel mondo che aveva visto solo in tv e, quindi, preso per modello dopo anni di clausura. Ora Marfè-Sellers prepara lo sbarco a Sanremo, un cortocircuito che si chiude idealmente proprio dove Nilla Pizzi diceva d'essere nata come gloria. «Prima non esistevo». Dovette piazzarsi prima e seconda al Festival del '51, e adesso le porte si aprono a una star involontaria. «Un giorno la barbarie del Musichiere o di Campanile sera ci apparirà l'aspetto irrecuperabile di un'epoca felice», lo scriveva Umberto Eco, ed era il '61. Ecco perché la tv non cambierà, mentre forse Marfè imparerà a cantare in inglese, se lo vorrà. Oppure un giorno farà come Forrest Gump, fermerà la corsa dietro cui in tanti si sono accodati, e dirà basta, raccontando con un sorriso d'essere un po' stanchino e di voler tornare a casa.

(Repubblica Napoli, 13 febbraio 2009)

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