Serena ricorda la mano d'uomo che le urta una spalla e la spinge giù. Sotto il tavolino. E poi la confusione. «Tanta confusione. Ma quella mano mi ha salvato la vita. Forse era il titolare, forse un cameriere. Non lo so. Se non mi avesse spinto a terra mentre intorno sparavano, la pallottola mi avrebbe colpito dritta al cuore», racconta una volta uscita dalla rianimazione a suo padre Franco, nel reparto chirurgia d'urgenza dell' ospedale Cardarelli. Una cascata di capelli neri e mossi, lo sguardo pronto a lottare, 23 anni, lei che è abituata a circondarsi di bambini, animatrice alle feste, operatrice sociale nelle scuole. Era agli chalet di Mergellina per una festa di compleanno.
Sta peggio Vincenzo, 27 anni, muratore. «Aspettiamo il miracolo. Il cielo deve farci la grazia», mormorano gli amici nella sala d'attesa dell'ospedale Loreto Mare, gli stessi che erano con lui per una birra la scorsa notte, tra i primi a essere ascoltati come testimoni. Non sanno che l'uomo sospettato di aver sparato è a sua volta ricoverato lì, al primo piano, piantonato dai poliziotti. Il papà di Vincenzo singhiozza. Come la sorella. «Posso salire? Posso vederlo?». La mamma non c'è. S'è sentita male alla notizia, al pensiero che in questa città si possa morire facendo cose semplici. A una festa di compleanno. Bevendo una birra. Dandosi appuntamento agli chalet. Franco Murolo, il papà di Serena, controlla l'agitazione: «Mi sembra d'essere finito in quei programmi tv dove i genitori raccontano la loro tragedia. Incredibile: stava capitando anche a me». In serata arriva in ospedale anche il prefetto Alessandro Pansa.
La sparatoria di Mergellina è un incubo che ritorna per i familiari delle vittime innocenti della criminalità, riuniti in un'associazione nella Napoli dove si rischia anche facendo la cosa più semplice. Come Silvia Ruotolo, finita sulla traiettoria di un regolamento di conti della camorra nel giugno '97, mentre in strada teneva per mano il suo bambino. Lorenzo Clemente, suo marito, dice: «Sto male, fisicamente, nel sapere che dopo 11 anni la realtà si può ripetere e si può moltiplicare. La ragazza colpita è coetanea di mia figlia, che dopo aver sentito la notizia al Tg non vuole più uscire di casa. L'altro mio figlio, Francesco, non sa ancora. Quando sentirà, comincerà a tremare. E' da quel giorno che vive così. Chiedendo: chi è stato, che hanno fatto, perché». Era dicembre pure nel 2003. Claudio Taglialatela attraversava il centro in macchina, sognando un futuro nei carabinieri. Lo uccisero mentre provavano a prendergli il cellulare. Pochi giorni dopo l'arresto, il presunto assassino si tolse la vita in carcere. Giuseppe Taglialatela, papà di Claudio, racconta: «Siamo sconfortati. Torna sempre in mente quel dolore. Sopravviviamo per gli altri figli, altrimenti non ci sarebbe senso. Ed è per loro che abbiamo paura di vivere, in questo mondo di vigliacchi e di camorra». L'associazione dei familiari ha un suo coordinatore in Alfredo Avella, avvocato, papà di Paolino, ucciso 5 anni fa mentre provava a fuggire dai rapinatori che volevano rubargli lo scooter. «Sono scoraggiato. Parliamo di legalità nelle scuole. Organizziamo manifestazioni. Mi chiedo se basta, mi chiedo se serve. Per citare don Ciotti, mi domando se esiste una società civile. Abbiamo piuttosto bisogno di una società responsabile. Ognuno faccia la sua parte. Serve una mobilitazione generale. Forse non ne vedrò i frutti, spero solo di poter consegnare un giorno i risultati del lavoro nelle mani dei nostri figli».
Coltelli, pistole, vittime giovani e innocenti. Una lista lunghissima. Coi nomi di Annalisa Durante, uccisa a Forcella da un proiettile vagante; Attilio Romanò, colpito per sbaglio durante la faida di Scampia; Gigi e Paolo, gli amici ammazzati perché scambiati per guardaspalle di un boss; Fabio Nunneri, morto per aver fatto da paciere in una rissa; Francesco Estatico, assassinato per uno sguardo di troppo a una ragazza. Proprio a Mergellina. Agli chalet.
(Repubblica Napoli, 14 dicembre 2008)
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