venerdì 8 agosto 2008

Le cartucce di Ennio Falco


Le cartucce di Ennio Falco non finiscono mai. «Voglio fare una grande gara». La parola oro gli resta nascosta in gola, otto anni dopo la vittoria di Atlanta e alla sua quarta Olimpiade in 40 anni, già sapendo che non sarà neppure l'ultima. Perché non dovrebbe immaginarsi a Londra nel 2012, se Benelli vinse l'oro a 44 anni, ed è ancora in corsa adesso che ne ha 48? Falco ci pensa. Non è stato smontato dalla delusione di Atene. Non s'è fermato neppure dopo aver perso il campo d'allenamento, il campo della sua famiglia, il "Tiro a volo Falco", sdraiato lungo i saliscendi e i tornanti fra Capua e Caserta, in mezzo a salici, pioppi e pini di Sant'Angelo in Formis.


Lo costruì il suo papà, Geppino, dopo aver visto in tv la vittoria di Rossini ai Giochi di Melbourne. Falco racconta che «qui, da qualche parte sul campo, credo d'essere stato finanche concepito». Ma quel campo di tiro al piattello, sul laghetto artificiale occupato da gazze e upupa, dove i passeri vanno a fare i nidi, è stato chiuso a marzo dagli uomini del comando del Corpo forestale di Caserta, per un provvedimento del gip Meccariello del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Per la procura, quel campo si trova in un'area sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale, e per gli uomini della Forestale non c'erano barriere adeguate a piattelli e pallini di piombo, che finivano nel Volturno. Nei piattelli - ha scritto l'Arpac - ci sono idrocarburi policiclici aromatici, e andrebbero perciò smaltiti come rifiuti urbani differenziati. Mai avrebbe immaginato, il campione olimpico Falco, di inquinare come l'Ilva e contribuire all'emergenza rifiuti. Di inquinamento acustico, invece, i vicini del poligono lo accusavano da tempo. Già 4 anni fa, alla vigilia di Atene, Falco spiegava: «Certo, si sente la deflagrazione della fucilata. E' un disagio. Ma per il calcio quanti ne sopportiamo? Intrappolati nel traffico, se allo stadio c'è la partita?».  A marzo i sigilli.

Gli avversari, a Pechino, si chiamano Achilleos, Brovold e Hancock, un cipriota, un norvegese e un americano. La caccia all'oro parte nella notte tra Ferragosto e sabato 16, gli ultimi piattelli sono previsti intorno alle 10 del mattino. Non s'è abbattuto, Falco, non ha mai smesso d'allenarsi. Come non si lasciò andare dopo aver perso il padre mentre da ragazzino era a Montecatini per una gara: la madre Mimma morì addirittura durante la sera della festa per la vittoria dell'oro di Atlanta. E' diventato celebre il suo bacio al fucile quando sbagliò l'unico piattello della finale '96, il sestultimo, sul campo di Wolf Creek. Quel fucile venne poi portato a Beirut, con moglie e figlia al seguito, per dire che le armi andrebbero usate solo per sport, non per la guerra. E poi c'è la vecchia storia del sultano del Brunei, Sufri Bulki, che nel '99 gli offrì 3 miliardi e 850 milioni di lire per lasciare l'Italia e trasferirsi lì da lui. Non voleva fare di Falco il suo istruttore, quello è un ruolo con stipendio da 800mila dollari l'anno. Lo voleva in Nazionale per i Giochi di Sydney. Aspettando l'amico Falco, il sultano mandava suo fratello in giro per il mondo a gareggiare, e si fece costruire con 100 milioni di dollari un campo nella sua residenza estiva. Con le pedane da tiro in marmo di Carrara e gli arredi degli spogliatoi in oro massiccio. Ma Falco è rimasto lì dov'era, tra gazze e upupa, a frantumare piattelli nel giardino di casa, alla sua maniera, sempre con una cartuccia in più nascosta da qualche parte, pensando a Pechino mentre s'allenava per Atene, e pensando a Londra ora che s'avvicina Pechino.

(Repubblica Napoli, 7 agosto 2008)

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