mercoledì 29 ottobre 2014

Rigore, rosso, squalifica: il triste destino del portiere


COM'ERA bella la vita quando uscivi di pugno, prendevi la palla, travolgevi gli avversari, nella mischia saltava un dente a qualcuno, e di soprannome magari facevi Kamikaze. Eri il portiere, diamine, e il regolamento prevedeva "la carica" ai tuoi danni, solenne come un peccato mortale. Esisteva un mondo perfetto che riconosceva la diversità del numero uno, la sua eccezionalità, i portieri erano nelle poesie di Saba. Dei matti si diceva dovessero essere, estroversi, anche se ce n'erano di tristissimi. Fino al giorno in cui il calcio ha cominciato a erodere differenze e immunità. Via (o quasi) la carica, via la possibilità di raccogliere con le mani il passaggio all'indietro di un compagno, e con un taglio dietro l'altro succede che al posto del Kamikaze una domenica pomeriggio ti ritrovi Nicola Leali.
Ha fama di essere un ragazzo prodigio. Un candidato al dopo Buffon. La Juve lo ha comprato due anni fa dal Brescia per 4 milioni e lo ha mandato in prestito prima al Lanciano, poi allo Spezia, adesso al Cesena. Il ragazzino si ritrova Palacio davanti, lascia i pali e si lancia, tocca il pallone e non avendo ancora scoperto la formula per smaterializzarsi incappa nel corpo dell'argentino. Al quale non pare vero di cadere, considerato che il pallone stava cominciando un viaggio verso la periferia dell'area. È in momenti come questi che anni di privilegi di una categoria vengono azzerati. Kamikaze cosa? Questo è rigore. Non solo. Il povero Nicola si prende il rosso e finisce dentro la morsa della cosiddetta "tripla sanzione", dove la terza è la squalifica arrivata ieri. Non proprio un buffetto, tre giornate, perché uscendo dal campo a Leali sono partite «espressioni ingiuriose». Contro l'arbitro, la vita amara e il cinico destino. La beffa, povero Leali, è che la trinità del castigo (Rigore, Espulsione, Squalifica) è impopolare assai. Non piace al presidente Uefa Platini, che trova la regola «stupida ed eccessiva». Non piace al presidente degli arbitri italiani Nicchi: «Assurda». Non piace al designatore europeo Collina: «Va eliminata». Non piace a nessuno, però esiste e resiste. Un tempo per cacciare un portiere doveva essere successo il finimondo. Il primo in serie A fu Nicolino Latella, un ligure che giocava a Padova. 8 giugno 1930, la Triestina fa gol dopo un rigore ripetuto tre volte. Latella in una mischia viene colpito da Rodolfo Ostromann, attaccante di Pola, e reagisce come se fosse Primo Carnera. A cazzotti. Si ricorda pure un Borussia-Torino di Coppa Campioni ‘76, fuori Castellini che aveva fatto saltare in aria Del'Haye, la squadra rimase in otto, in porta finì Graziani. È dopo i noiosissimi Mondiali del ‘90 che la Fifa ribalta il mondo: protezione per gli attaccanti, i portieri si arrangino, vogliamo i gol. Pagliuca pagò a Usa ‘94, Sacchi mise Marchegiani al posto di Baggio e quello uscì mormorando: «È matto». Da allora è andata sempre peggio, per la gioia dei numeri 12, che un tempo non vedevano mai il campo. Igor, portiere dell'Operario, serie D brasiliana, vide il rosso per aver calciato con rabbia il pallone nel settore da cui gli arrivavano insulti razzisti. Joe Nasco, dei Colorado Rapids, fu espulso dopo 30 secondi. Peggio ancora in Honduras, dove al portiere del Marathon fu fatale una palpatina sul sedere del centravanti avversario per allontanarlo. Se lo sapesse Umberto Saba.

(la Repubblica, 28 ottobre 2014)

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