DORME ancora in una delle 16 camere della club house di Assemini, al campo, ma cerca casa di fronte al mare. Il Poetto, non distante dalle vie in cui passeggiano Riva, Brugnera, Tomasini, la fetta del grande Cagliari che ha scelto di restare qui per sempre. Zeman si sta aprendo alla Sardegna, la Sardegna sta entrando dentro Zeman. La sua faccia è sui cartelloni pubblicitari, frasi in lingua sarda, la speranza che qualcosa di nuovo con lui succeda, ora che la pagina Cellino è voltata. «Non so se ci credono come ci credo io» brontola Zeman. Roma è lontana, una grossa delusione da andare a guardare negli occhi. Domani.
Zeman, adesso non dica che è una partita come le altre.
«Non lo è. È la partita fra la mia squadra e quella della città in cui abito da 20 anni. Ma senza rivalsa».
C'è qualcosa di suo nella squadra di Garcia?
«In attacco qualche mio movimento lo fanno. Ma il suo modo di giocare è diverso. Garcia è un Guardiola, un Luis Enrique, vuole il possesso e sfrutta le giocate dei singoli. Di bravi ne ha tanti».
Cosa mancò a Zeman per fare grande la Roma un anno prima di Garcia?
«Avevo problemi interni. Non la pensavano tutti allo stesso modo e non tutti come me».
In squadra?
«Non solo. In squadra e in società. Ma nomi non ne faccio».
Ha più sentito De Rossi?
«No. Sono pochi quelli con cui mi sento».
Che accoglienza si aspetta all'Olimpico?
«Ho sempre avuto tanto consenso, tranne in una piccola frangia. Il calcio unisce e divide. Alla fine il bello è questo, ognuno resta della sua idea».
E qual è la sua idea della Roma di Garcia?
«L'ho vista in tv contro il Cska. Avrei fatto meglio a non guardarla... L'obiettivo della Roma deve essere ogni anno la lotta per lo scudetto. È l'italiana che gioca meglio».
A Cagliari le parlano di Manlio Scopigno?
«Ero già in Italia quando c'era Scopigno. Lo conosco. Se vinci uno scudetto a Cagliari, sei un grandissimo. Ma lui aveva Gigi Riva. Io Gigi Riva non ce l'ho».
Scopigno diceva: nel calcio il più pulito è il pallone, quando non piove. Una frase da Zeman, non trova?
«Penso che Scopigno l'ha detta in altri tempi e penso che dovrebbe vedere cosa sono diventati i nostri».
La sporcizia è aumentata?
«È più moderna...».
Si è stancato di combattere le sue battaglie?
«Non mi sono stancato. Cerco di fare il mio calcio e di farlo pulito. Se non so, non parlo».
Il razzismo nel calcio italiano non è una battaglia da combattere?
«Il calcio italiano non è mai stato razzista».
Mai? E i cori negli stadi?
«Il razzismo è un'altra cosa. È odio per la razza. Quelli che invece negli stadi fanno buu, vogliono insultare l'avversario».
Non è un ragionamento che giustifica i razzisti?
«E no. Negli stadi insultano anche i bianchi, e i gialli, e gli altri. Puniamoli tutti, questo dico. Quando gioco a Torino con la Juve, ce n'è anche per me».
Può far bene la quota minima di italiani in campo?
«Tre stranieri erano l'ideale. Tre ma forti. I ragazzi da loro imparavano tanto, e magari imparavano qualcosa anche i più vecchi. Oggi sono 20 e bloccano la crescita dei giovani».
Un allenatore non può opporsi?
«Nel calcio ci sono tante nuove figure, poi i direttori, i presidenti: alla fine le squadre le fanno loro. Io voglio ancora fare l'allenatore all'antica, a Cagliari me lo permettono ».
E il selezionatore? Mai avuto voglia di un'esperienza da ct?
«A me piace presentarmi ogni giorno al campo, i ct si presentano in tribuna e in altri posti».
Conte è l'uomo giusto?
«Non credo ai maghi. Né che il mercoledì incontri un calciatore e gli cambi la mentalità. Ma a Conte riconosco grande personalità».
È stupito che la Figc abbia scelto lui, un simbolo della Juve, dopo gli scontri su Calciopoli con quel club, e dopo averlo squalificato?
«No, perché siamo in Italia. Conte ha vinto tre scudetti di fila, e in Italia si corre dietro ai vincitori. Le prime due partite della sua nazionale sono state buone. Come allenatore non si discute, semmai si dovevano discutere gli altri aspetti».
Nel suo ultimo libro Valdano scrive che il calcio divide i vincenti dai perdenti, ma che si è leader anche educando senza successi.«L'ho detto 40 anni fa. Ci piacciono i vincitori, ma non credo che Mourinho e Ancelotti vincerebbero uno scudetto con il Cagliari».
E a lei non manca uno scudetto?
«No. Per niente. Sono contento della mia carriera. Si può anche retrocedere, basta aver fatto il possibile per evitarlo, e se altri sono stati più bravi di te lo riconosci e gli batti le mani. È lo sport».
Ma lo Zeman di oggi, a 67 anni, preferisce ancora un 5-4 o un 1-0?
«5-4. Il calcio è spettacolo. La gente si deve divertire, se non ci sono i gol come si diverte? Con il risultato? ».
Repubblica, 20 settembre 2014
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