A ESSERE pignoli, quel punto lì sarebbe il tallone. Ma il tallone evoca Achille, richiama una debolezza, non è che faccia tanto chic. Chiamarlo gol di tallone ammazzerebbe l'enfasi, vuoi mettere invece con il tacco? È un atto speciale già per questo, non sarà mai volgare come segnare di testa, di piede o finanche con la mano. È il solo gol che rinunci a essere definito con una parte del corpo, perché umano non è, non del tutto, con il tacco siamo già nel campo dell'estetica. Chiedetelo a una donna, il tacco dà eleganza, allunga la gamba, sfila il polpaccio. E dunque "tacco 7", Jeremy Ménez, è l'ultimo della galleria. Del gesto propone una versione contemporanea, urlata, esagerata.
Non gli bastava rubare il tempo allo sciagurato Ristovski né dribblare con un tocco d'esterno e riprendere il pallone aggirando il portiere Mirante lungo il fianco opposto. No, Ménez vuole di più, pretende di smentire il detto secondo cui per quella roba lì bisogna avere gli occhi dietro la nuca. Ecco. Stavolta dimostra che gli occhi non servono affatto, se il campo di calcio ce l'hai come una mappa nella testa. E nell'istante in cui a Parma si trova spalle alle porta pensa l'impensabile, con un colpo di tallone, vabbe' di tacco, plin, sfacciatamente s'inventa un cucchiaio. Tutto si può dire del colpo di tacco, fuorché si tratti di un gesto riservato. Socrates ci faceva politica. Ne esibiva una mezza dozzina a partita per seminare la democrazia tra il popolo brasiliano sotto il regime dei militari, predicando a quel modo l'idea che la libertà fosse il bene supremo da inseguire. L'algerino Madjer ne piantò uno nella finale di Coppa dei Campioni del 1987, e subito tutti a volare altissimo, il tacco di Allah si disse: quel colpo oggi tra i parlanti francesi porta il suo nome. In Italia per primo lo rese celebre Roberto Bettega, 1971, una partita contro il Milan. Quando qualche mese dopo si fermò per la pleurite, Cudicini gli spedì un biglietto. «Torna presto, voglio vedere ancora il tuo colpo di tacco ». Masochista.
Il tacco è una trappola. Sublime e insidioso. Tiene sospesi tra la vetta e la figuraccia. Quando Balotelli ne cerca uno durante la tournée del Manchester City, estate 2013, dalla panchina Roberto Mancini gli fa un gesto con la mano, vieni qui ragazzo, riposati un po'. Eppure Mancini, come Crespo, col tacco aveva confidenza. Nel ‘99 da laziale segna contro il Parma, e al volo: lo chiamerà per sempre «il gol più bello della mia carriera». Un altro lo pesca in un derby e sempre in un derby fa la stessa cosa l'altro Mancini, Adamantino. Ma proprio chi conosce bene il tacco, sa quanto sia fragile il confine tra la sua efficacia e l'esibizionismo. È quasi sempre un'azione da bad boy. Ibrahimovic lo esegue in versione kung fu. Ne inventa uno contro l'Italia agli Europei 2004, poi da interista uno all'Atalanta e uno al Bologna, e giusto un anno fa a Parigi due consecutivi in 4 giorni rendendo così banale l'eccezionale. Guardi Ibra e lui ti convince che puoi riuscirci perfino tu. In effetti a molti capita e lo racconteranno per sempre: Dal Fiume, Biava, Maniero, Orlando. Semën Šuvalov, il diciannovenne protagonista del romanzo di Sergej Samsonov "Un fuoriclasse vero", scommette con Ronaldinho che addirittura riuscirà a farne tre in una stessa azione. Il pegno: baciare il sedere a Xavi. Esagerato. Ma Ménez di più.
(Repubblica, 16 settembre 2014)
Nessun commento:
Posta un commento