venerdì 12 settembre 2014

Le undici virtù del leader

VENTITRÉ righe su Mourinho. «Se Guardiola è Mozart, Mourinho è Salieri: sarebbe un gran musicista, se non esistesse Mozart». Zac. Il colpo di Jorge Valdano, campione del mondo con l'Argentina del 1986, poi allenatore e d.g. del Real Madrid, casca sull'antico rivale alle ultime pagine del nuovo libro, "Le undici virtù del leader" (158 pagine, Isbn edizioni, 19 euro), in uscita oggi. «Non gli ho mai sentito dire, sia in pubblico sia in privato, una sola frase calcistica degna di essere ricordata. L'intelligenza e l'ego sono nemici fra loro. E quando si scontrano, vince l'ego». Che i due non si siano mai piaciuti è cosa nota, Valdano lasciò il lavoro per non dover calpestare lo stesso pavimento di Mourinho. A dirla tutta, forse disprezzerebbe Salieri anche se non esistesse Mozart. Ma fermarsi a queste 23 righe significherebbe tradire la natura del lavoro dell'argentino, un'analisi profondissima, quasi filosofica, sul senso del carisma nel calcio.
Da calciatore prima, da gestore di uomini dentro uno spogliatoio e manager poi, Valdano si muove fra gli spazi di ogni possibile stato d'animo legato al pallone. La sua è un'osservazione fitta di citazioni colte, raffinate, popolari. Gioca con Kavafis e Chaplin, Lichtenberg e Spencer Tracy, analizza studi sociologici e di economia. Individua in questo suo cammino le undici virtù di una personalità che lascia il segno, «perché la capacità ultima di comando del leader», scrive, «si misura osservando ciò che lascia in eredità. È lì che si dimostra se la sua influenza è stata costruttiva o distruttiva. Se è Mandela o se è Attila». Poteva mai piacergli uno come Mou?
Credibilità, passione, speranza, ma pure umiltà, stile, semplicità costruiscono le figure ideali. Guardiola («lo Steve Jobs del calcio»), Menotti e Bilardo su tutti. Scrive che «i risultati sono un grande manipolatore della realtà» e che «dividere il mondo in vincenti e perdenti è una tendenza che il calcio ha incluso nei propri codici. Ma bisogna sempre sapere riconoscere lo sforzo di quegli uomini che, nella vittoria e nella sconfitta, elevano la qualità etica dello sport e, per estensione, la qualità etica della società». Valdano ha scelto il calcio della gioia, del sentimento, della passione («la buona peste»). «Valdano è per la strada larga, non per la scorciatoia. Sa che estetica ed etica sono dita della stessa mano», sottolinea Gianni Mura nella prefazione. Etica e mano ci portano dritti al Messico del 1986, a uno dei due gol di Maradona all'Inghilterra. Neppure qui Valdano si sottrae: «Io non sono innocente». La sua tesi: l'ammissione del fallo di mano forse avrebbe reso l'Argentina un Paese migliore, «lo dico considerandomi complice, perché se non sono stato il primo, sicuramente sono stato il secondo ad abbracciare Maradona».
L'epilogo è fatto di brevi ritratti. «Se ci fossero altri Prandelli il calcio farebbe un salto di qualità tecnico ed etico straordinariamente necessario». Ancelotti: «Un grande allenatore che ha deciso di non darsi troppa importanza». Capello: «Se lo abbandonassimo per un anno in una caverna piena di serpenti, al ritorno lo troveremmo sano e salvo». Su Conte si spinge lontano: «L'allenatore più interessante di questa generazione. Ha restituito alla Juventus la credibilità etica e la passione competitiva». E poi i calciatori. «Guardare Pirlo è come essere di fronte all'intelligenza accumulata da tutti i centrocampisti di ogni epoca». Balotelli: «Un calciatore genuino, ma alcune frivolezze psicologiche in alcune occasioni lo collocano a metà tra un bambino capriccioso e un attore scadente». Zanetti: «Il giorno del suo ritiro mi sarebbe piaciuto avere due cappelli: uno me lo sarei tolto davanti al calciatore, l'altro davanti al cittadino». Il calcio di Valdano è quello dei sogni.

(la Repubblica, 11 settembre 2014)

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