martedì 30 settembre 2014

La tripletta di Ekdal e la domenica della vita


C'È GENTE che per anni si allaccia prima una scarpa e poi l'altra, sta attenta a non calpestare le righe, strappa ciuffi d'erba all'entrata in campo. Cose così. Ce ne sono tanti che perdono la salute a orientare gli eventi e dribblare il caso, si impegnano nell'iterazione dei loro gesti con l'illusione di garantirsi in copia conforme ogni giorno che passa, forse convinti che rivivere e replicare sia un modello di felicità. Poi alle quattro di una domenica pomeriggio, passa da San Siro uno svedese che non è Ibra e smaschera le miserie della scaramanzia. Che è per forza roba da conservatori. Del resto se anche Ekdal avesse un rito per far scorrere la sua vita come sempre, non segnerebbe tre gol a San Siro tutti insieme, visto che in genere non ne fa più di uno all'anno. Oppure un rito ce l'avrà anche lui, ma evidentemente non funziona.
Fosse pure per una volta, una volta sola nella vita, vale la pena prendersi un regalo dal caso. Deve essere questo il senso del modello Ekdal. Modello in tutti i sensi. Quando può il ragazzo, figlio di un'ostetrica e di uno dei più noti giornalisti tv di Svezia, va a sfilare in passerella. Gli piace vestire bene, e come alla Giuditta del piccolo diavolo di Benigni capita il giorno giusto per uscire da se stesso. Una liberazione. Lascia il corpo sudato del mediano di spinta e in via del tutto eccezionale gioca di puro spirito. Quello del centravanti invasato. Miracolo. Anzi: un esorcismo. Parte eccitato verso la difesa interista, la vede sonnecchiare e s'accorge che Milano dorme ancora. Allora si trasforma, neppure sa come, in un uomo posseduto dal demone del gol. Non c'entra Zemanlandia: Matrecano a Foggia tre gol non li ha fatti mai. È che ogni tanto il calcio bacia l'Improbabile, regalandogli una domenica bestiale. Presentato da ragazzo come il nuovo Pirlo e il nuovo Tardelli, in Ekdal si reincarna il vecchio Boninsegna. All'incredulo Mazzarri, persuaso che sotto il cielo debbano capitare tutte a lui, potrà spiegare bene la natura di questo prodigio Luca Vigiani, suo collaboratore oggi, sei campionati fa triplettista a sorpresa in un Reggina-Catania: mai aveva messo insieme 3 gol in un anno, nei successivi quattro campionati segnò in tutto due volte. A Zeman invece ripassa davanti agli occhi la sagoma di Cornacchia Carlo, difensore, tre gol di testa in 14 minuti durante un'Atalanta-Foggia del ‘92 finita 4-4, illustrazione precisa come poche altre della parabola boema. Anche grazie a quella tripletta Cornacchia strappò un ingaggio a Napoli, dove scoprirono la sua personalità sensibile: in aereo e in pullman si isolava per scrivere pensieri e rime, in allenamento scopriva dolori diffusi appena intuiva che la domenica sarebbe toccato a lui, come la notte prima di marcare Weah. Prima di Ekdal, uno dei pochi calciatori in A senza tatuaggi, Cagliari ha benedetto la domenica della vita di Eraldo Mancin, che d'estate aiutava il papà nei campi del Polesine e in Sardegna arrivò in tempo per vincere lo scudetto del ‘70, come riserva del numero 3 Zignoli. Quando contro il Verona segnò il suo terzo gol dopo il primo e il secondo, Gigi Riva si sfilò la maglia con il numero 11 e gliela mise tra le mani: «Tieni, adesso all'ala ci vai tu». I laziali sono legati all'impresa di Mihajlovic, tripletta tutta su punizione contro la Sampdoria; a Firenze ricordano quella di Aquilani al Genoa, i milanisti si stupirono per quella di Nocerino al Parma. Ma i più esterrefatti restano tuttora gli juventini, che ne videro segnare tre al Cagliari perfino da Krasic. Poi Boninsegna esce dal tuo corpo e la carrozza ritorna una zucca. Ma almeno lo puoi raccontare.

(la Repubblica, 29 settembre 2014)

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