lunedì 15 settembre 2014

Il tacco di Ménez mai esistito

menez
Ti balla un pallone davanti ai piedi, l'attaccante dietro di te ti mette ansia e devi sbrigarti. Hai sì e no un secondo per stabilire se appoggiare la palla al portiere o buttarla via. In calcio d'angolo, in fallo laterale, in tribuna, ovunque, come vuoi, come capita. Hai un secondo, uno solo, per prendere una decisione. Ti chiami Stefan Ristovski, e ovviamente la decisione la sbagli. Tocco all'indietro, la palla che si ferma, come spalmata di colla all'improvviso, il tuo portiere se la guarda e alla fine sbuca lui. L'attaccante. Si infila derisorio lungo il tragitto, tocca la palla d'esterno per dribblare il portiere e va a riprendersela dall'altra parte, aggirando il tapino lungo il fianco opposto, come negli anni '80 faceva sulle fasce sinistre d'Italia Luciano Marangon, ancora terzino e non un esterno basso.


L'uomo che con la tua scelta hai lanciato verso la porta, a questo punto ha il tempo per mettere in fila una serie di cose: uscire per un istante dal campo lungo la linea di fondo, rientrarvi senza chiedere il permesso all'arbitro, evitare di sbattere la testa contro il palo come di sicuro sarebbe successo di giovedì sera a Supergulp, infine giungere sulla soglia della porta dandole le spalle. E mentre noi stiamo pensando che il solo modo per fare gol sarebbe una pazzia, sarebbe un folle colpo di tacco, lui - sorpresa delle sorprese e meraviglia delle meraviglie - proprio il tacco usa, e fa gol, neppure rasoterra.

  sliding Ti chiami Stefan Ristovski e ti disperi, ma quanto successo non è che una delle sliding doors del calcio, cose che accadono su tutti i campi ogni domenica, come a Gwyneth Paltrow succede nel film di prendere la metro o di perderla, di veder cadere l'orecchino in ascensore, rimanere incinta e quel che viene appresso. Azione e reazione. Semplice. Le conseguenze del difensore. Ma esiste di sicuro da qualche altra parte una dimensione parallela in cui Ristovski molla una scarponata al pallone mandandolo in cielo in terra o in ogni luogo, tranne che verso la sua porta; una dimensione parallela in cui - dopo - al massimo capiterà di assistere a un calcio d'angolo, mica a quel dribbling canzonatore, non a quel tacco obbligatorio e beffardo. Il guaio è che da questa parte del mondo il povero Stefan ha deciso così, la tocco piano e zac, frittata per lui e noi a bocca aperta. Non è neppure colpa sua, lui che ne può sapere. Ristovski è un ragazzo di Skopje che ha frequentato le giovanili del Vardar, l'unica squadra della Macedonia che ha saputo spezzare il dominio di serbi e croati per vincere il campionato di Jugoslavia, era il 1987. Stefan è nato cinque anni dopo, quando nella nazionale italiana giocavano Maldini Baresi e Costacurta, in fondo dentro la sua testa le nostre difese sarebbero ancora quella roba là. Invece gli anni passano, i miti invecchiano, le bandiere di una volta sono appese negli stadi e i gringos arrivano a fare affari. Il Parma lo pesca dall'altra parte dell'Adriatico nel 2010 e per un po' lo manda in giro in prestito, a Crotone, a Frosinone, a Bari, a Latina. Lui, come fanno i marinai e i calciatori iscritti a bilancio, torna e riparte, torna e riparte. Magari tra un viaggio e l'altro c'è qualche allenatore che se lo mette sotto e gli insegna che il calcio è cambiato, lascia perdere Costacurta che la spazzava via lontano, adesso anche il portiere deve saper giocare con i piedi e il difensore deve saper costruire, vedi Stefan, quando sei in difficoltà tu appoggiala dietro. Già gli era sfuggito Bonaventura sul primo gol e Honda sul secondo. Insomma le difficoltà c'erano. Arriva quell'attimo, quel secondo in cui decidere, e il giovane Stefan mica può ignorare anni e anni di lezione tattica in Italia. Gli passa davanti agli occhi l'immagine di Baresi che spazza in tribuna ma lui la ignora, meglio obbedire, la tocca dietro. Mirante in fondo è lì, coi piedi ci saprà giocare. Sarebbe potuto arrivare in serie A con il Latina e forse il Parma avrebbe lasciato Ristovski ancora là. Magari avrebbe trascorso una domenica pomeriggio fatta di uno 0-0 in casa contro il Palermo e una tranquilla serata al cinema, chi lo sa se i calciatori vanno più al cinema. E invece no, "sono tornato a casa" gli venne da dire l'estate scorsa, ed era pure contento. "Posso giocare a destra e a sinistra, posso anche fare la mezzala".  Macché. A Parma, in difesa e a destra. In quell'attimo lì. Mille altre cose potevano succedere anziché l'unica, la sola che ci ha dato il gol più folle degli ultimi anni. Magari nell'altra dimensione adesso c'è un attaccante che ancora si dispera per essere stato anticipato, per aver perso un pallone buono e si chiama Jeremy Ménez.

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