lunedì 25 novembre 2013

Un giorno al Borussia

Dalla Hohe Strasse allo stadio sono dieci minuti a piedi, si attraversa un sottopassaggio e sei di là, oltre la Rheinlanddamm, un rettilineo su cui le macchine sfrecciano indifferenti alla magia del Westfalen Stadion. Signal Iduna Park si dovrebbe dire, lo sponsor che dà il nome all’impianto del Borussia. Il viaggio nel modello Borussia, il famoso modello Borussia, comincia da qui. Da una società che stava fallendo e che ora tutti vorrebbero imitare.Imitare poi perché? Sono stato a Dortmund per intervistare Juergen Klopp: il servizio è sulle pagine di Repubblica oggi (ora anche online). “Responsabilità degli uni verso gli altri”, questo è per lui il senso della formula. Tifo, società, staff, squadra. Una cosa sola. Ma anche detto così potrebbe sembrare soltanto uno slogan.

Bisogna entrare dentro il Borussia per capire il modello Borussia.
Oltre la Rehinlanddamm, quando a piedi si comincia ad accarezzare il perimetro dello stadio, ci sono una palestra di boxe, un campo di calcio per il riscaldamento e una pista d’atletica. Sul prato s’affaccia una terrazza alberata, lunghi tavoli di legno, un paio di gazebo dove vendono birre e panini. Ma il panino allo stadio puoi anche portartelo da casa, non ti dice niente nessuno. Il negozio ufficiale del Borussia è poco oltre, piccolo, su due piani, “entro un anno ci trasferiamo dall’altra parte della strada, in un locale di duemila metri quadri”. Come altre squadre d’Europa, anche il Borussia ha il suo museo, il Borusseum, molto contenuto rispetto a quello del Barcellona, molto diverso soprattutto. Ci trovi la Coppa intercontinentale del 1997 in una bacheca, certo, ma anche un paio di biliardini dove i ragazzini vanno a intrattenersi giocando partite interminabili, gialli contro neri.
I colori, ecco. Forse si deve cominciare da qui. L’identità. Il giallo e il nero. “Prendete lo Schalke 04. Si qualifica per la Champions e in Europa decide di giocare con la maglia verde. Io non ne capisco il motivo se con il verde la tua storia non c'entra niente”. Non si dà pace Hans-Joachim Watzke, amministratore delegato del Borussia. E’ una risposta indiretta anche alla maglia mimetica del Napoli, al marketing spinto. “C’è una cosa che i nostri tifosi non vogliono essere. Clienti. Loro vogliono essere noi”. E vogliono esserlo con quei colori lì. “Perciò dico che se un giorno arrivasse un petroliere arabo o un magnate russo a fare un’offerta enorme per comprare il Borussia, non avrei neppure venti secondi di imbarazzo. Gli risponderei: no, grazie. Perché sarebbero i tifosi a non volerlo. Con una proprietà di quel tipo diventerebbero dei clienti, la magia romantica del Borussia non esisterebbe più. Gli spettatori allo stadio scenderebbero a ventimila. Non sono contro gli investimenti di arabi e russi. Facciano quel che vogliono con i loro soldi, ma non con il Borussia”.
Watzke spiega che decidere al Borussia è tutto più semplice che altrove. Lo fanno in tre. Lui, il ds e Klopp. “Perdiamo poco tempo, stabiliamo tutto con grande anticipo rispetto al resto d’Europa. Ad aprile abbiamo già chiuso il nostro mercato. Ci sono due vantaggi: costa meno e d’estate ce ne andiamo in vacanza”. Bel tipo, Watzke. Racconta che il Borussia ha un grosso svantaggio rispetto al Bayern. La concorrenza degli altri club della Renania: lo Schalke, il Borussia Moenchengladbach, il Bayer Leverkusen. E in serie B ci sono il Bochum, il Fortuna Dusseldorf, il Colonia. Gli investimenti delle aziende in Westfalia perciò si spalmano. “In Baviera no. Tutte convergono sul Bayern. Amici che vanno all’Oktoberfest - io no, io non andrò mai - mi dicono che persino lì si vendono prodotti del Bayern”. Così nasce il gap. Per questo il Borussia Dortmund ha quasi scelto di diventare una squadra cool nel resto d’Europa. “Tre anni fa il nostro settore marketing fatturava all’estero l’1%, siamo saliti al 15%”, spiega il responsabile dell’area, Carsten Cramer. Il Borussia è quel posto in cui si discute per giorni se aumentare di 10 centesimi il prezzo di mezzo litro di birra. Lo avevano chiesto i loro ristoratori, volevano portarlo da 3,70 a 3,80. “Ci dicevano: tanto non fa differenza. Ma se non fa differenza: perché dovremmo aumentarlo? Per scontentare la gente?”. Il Borussia è quella società che quando vola in Inghilterra per giocare la Champions contro l’Arsenal va a fare visita allo Sheffield FC, il club più antico del mondo. Così, a De Laurentiis che qualche settimana fa confidava all’Equipe la tentazione di una Champions parallela per aumentare gli introiti, Cramer risponde che “il Borussia non fa calcio per fare business, il Borussia fa calcio per fare calcio”. Chiamateli gli ultimi romantici, al Borussia non si offendono.
 
 
 
 

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