venerdì 8 novembre 2013

L'ultima partita con il Muro di Berlino

Quando mancava un quarto d'ora alle otto di sera, l'arbitro Peter Weise fischiò la fine della partita, senza sapere che il giorno dopo avrebbero fischiato la fine di una storia. Otto novembre 1989, Dynamo-Stahl Eisenhüttenstadt 0-0, l'ultima partita a Berlino prima che cadesse il Muro.

Nove novembre. Il Muro non c'è più. Undici mesi dopo la Germania è unita. L'unificazione nel calcio non fu meno lenta. All'est i club erano legati all'apparato statale. Lo sport doveva provare la grandezza della nazione. Gli ori nel nuoto e nell'atletica a quello servivano, a quello serviva il doping di Stato.

Tutti i calciatori erano assunti dagli enti che governavano le squadre, perciò tecnicamente restavano dei dilettanti: quelli della Dynamo Dresda erano poliziotti, al Vorwärts Berlino erano militari. La Dynamo Berlino aveva alle spalle il ministero per la Sicurezza del Paese. La Stasi. Era controllata direttamente da Erich Mielke. In realtà ai calciatori venivano corrisposti ricchi bonus in totale segretezza: automobili, appartamenti, incentivi ad accettare trasferimenti da un club all'altro. Tutto decideva lo Stato, anche che Thomas Doll (poi alla Lazio e al Bari) dovesse passare dall'Hansa Rostock alla Dynamo Berlino. Quando Lutz Lindemann si era trasferito dal Rot-Weiß Erfurt al Carl Zeiss Jena, nel 1977, aveva ricevuto una Trabant e una casa in collina.

Thomas Doll, ecco. Era in campo a Berlino ventiquattr'ore prima che cadesse il Muro. Al Friedrich Ludwig Jahn Sportpark, duemila spettatori, decima giornata del campionato della Ddr. Il resto della Germania era in subbuglio. Proteste ovunque. Mezzo milione di persone in strada a Lipsia, a reclamare quel che avevano reclamato i cecoslovacchi e gli ungheresi. Libertà. Il Magdeburgo giocava a Dresda per conservare il suo punto di vantaggio in testa alla classifica. Tornò a casa battuto per 3-1, doppietta di Torsten Gutschow e gol di Matthias Sammer, poi interista. E il giorno dopo, la parola casa era un concetto nuovo.

La sera del 9 novembre 1989 Günter Scharbowski, funzionario del Partito di Unità socialista di Germania (Sed) dichiarò che le norme per i viaggi all'estero erano state revocate ab sofort, con effetto immediato. Un equivoco. Il piano prevedeva che le nuove regole scattassero il giorno dopo. La frontiera con l'ovest cadde, la libertà e il capitalismo travolsero il calcio dell'est. Il 15 novembre, solo una settimana dopo, la nazionale della Ddr avrebbe dovuto giocare in Austria una partita di qualificazione per i Mondiali del '90. Era una squadra composta da molti under 20, arrivati terzi al Mondiale l'anno prima (incluso Sammer), ed era ancora in corsa per la qualificazione. Sarebbe bastato un pari a Vienna per farcela. Problema. Che si fa? Si gioca, dissero Uefa e Fifa. Ma appena arrivati in hotel, i calciatori orientali trovarono manager, procuratori, agenti della Bundesliga. Tutti a caccia di indirizzi e contatti. Cinquemila tedeschi dell'est viaggiarono per la prima volta all'estero al seguito della nazionale. Finì male. Tripletta di Polster, vinse l'Austria. Sammer aveva le mani tra i capelli seduto in panchina, disperato, quando si voltò e trovò accanto a sé un uomo mai visto prima che gli chiedeva se fosse disposto a trasferirsi a Leverkusen: possiamo parlarne in hotel più tardi? Il 1° dicembre il primo calciatore passato dall'est all'ovest. Thom lasciò la Dynamo Berlino per quasi 3 milioni di marchi: pure lui era stato in campo poche settimane prima nell'ultima partita prima della caduta del Muro.

Ai Mondiali andò l'ultima nazionale della Germania ovest e tornò campione del mondo. Con Beckenbauer in panchina. Era già la squadra di tutti, il clima era quello. Fece festa pure parte dell'est, la cui ultima gioia intorno a un pallone risaliva al 1974, gol di Sparwasser, Ddr batte Brd 1-0, ai Mondiali di casa. Era già cambiato tutto, nel calcio cambiavano pure i nomi. La Dynamo diventò Fc Berlin, per ripulire il suo passato controverso, fatto di molti titoli, dieci consecutivi (1978-1988) e molti chiacchierati. Fischiare un rigore contro la squadra della Stasi era un atto di coraggio che non tutti gli arbitri sentivano di voler vivere. Oggi la Dynamo è in quarta divisione, la serie D.

Dopo la caduta del Muro, ci fu ancora un torneo della Ddr prima che si unissero pure i campionati: le prime due sarebbero state ammesse alla Bundesliga, cinque alla serie B, le altre alle categorie inferiori. Poi il calcio dell'est è sparito. Se la Germania unita è diventata il modello di sviluppo per tutta Europa, quello che c'era a est è bruciato. Hanno costruito nuovi stadi Dresda, Magdeburgo, Rostock. Ma i risultati non vengono. Un calcio dimenticato. Eppure il Magdeburgo ha vinto una Coppa delle Coppe nel 1974 (Milan battuto in finale), il Carl Zeiss Jena si spinse in finale nel 1981 (eliminata la Roma con uno storico 4-0 al ritorno dopo lo 0-3 dell'andata). Il primo club è in D, il secondo in C. Il Karl Marx Stadt, avversario di Coppa della Juve alla fine di quel novembre 1989, oggi si chiama Chemnitzer ed è in C. Così com'è in C l'Hansa Rostock, ultima squadra campione della Ddr. I club orientali più in alto nella piramide del calcio tedesco sono la Dynamo Dresda e l'Energie Cottbus, tredicesima e diciassettesima in classifica in serie B. Le ambizioni più grandi vivono in casa della RasenBallsport di Lipsia. Gioca in C ma è stata acquistata dalla Red Bull, che nel giro di dieci anni conta di portarla in Bundesliga. Fino a quel giorno, il calcio dell'est dopo la caduta del Muro vivrà di ricordi.

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