lunedì 4 gennaio 2010

Il nostro snobismo verso il calcio africano

In Costa d' Avorio lavorava per un'azienda produttrice di bottiglie. Stringeva i tappi. Anche mille al giorno. François Zahoui, chi se lo ricorda. Giocava a pallone sui sassi, mollò le bottiglie, provò col calcio. L'Ascoli lo scoprì in un torneo a Marsiglia, era il 1980, ne fece il primo africano della serie A. Guadagnava un milione e 200mila lire al mese, il milione lo mandava alla mamma, il resto lo teneva per la sua vita nelle Marche. Così racconta Furio Zara in "Bidoni" (ed. Kowalski), e chissà se Zahoui era davvero un bidone: in Francia più tardi sarebbe stato titolare a Nancy. Ad Ascoli giocò 11 partite. Andò via portandosi dietro la leggenda che si fosse presentato scalzo al primo allenamento. Lo chiamavano Zigulì, fotografia della pigrizia con cui l'Italia ha guardato a lungo al calcio africano.



Per altri 12 anni, dopo Zigulì, in serie A non è più arrivato nessuno, culturalmente inchiodati ai sospetti su Italia-Camerun e sull'anagrafe dei nigeriani, al colmo della vergogna per Italia-Zambia e non per la tratta dei baby ghanesi. Mentre negli stessi anni il Liverpool vinceva con le parate di Grobbelaar, l'Aston Villa scommetteva su Lamptey, N'Kono andava in Spagna, il Porto si prendeva la Coppa Campioni con Madjer, Yekini era capocannoniere in Germania e la Francia con la sua storia coloniale faceva il pieno, fino al super Marsiglia di Boli, Desailly e Abedì Pelé. Noi, niente. Diffidenza, sfiducia e ritardi. Per dare degli eredi a Zahoui, c'è voluto il Pallone d'oro a Weah, che peraltro il Milan prese solo con lo status di "comunitario". Le stelle nere sono tutte arrivate che erano già famose: Kanu via Ajax, Mboma (e Pelè e Weah) via Francia, Eto'o via Barça. Facile così.

Nel frattempo costano di più. Gli intrecci e le rotte del massimo guadagno hanno portato il calcio italiano ad abbracciare la moda dei rumeni, la moda dei portoghesi, la moda degli uruguayani. Quella degli africani, mai. Voglia di scommettere, poca. Sperimentare espone e non sempre paga, come sanno il Napoli di Zeman (tre africani) e il Genoa tunisino di Scoglio. Altrove, però, si sono aggiornati. La Premier, come la A, non aveva rappresentanti alla Coppa d' Africa del ' 92. Nel 2004 erano 23 contro 9. Nei 16 anni trascorsi, l'Italia ha visto passare gli insulti di Bari a Neqrouz e Masinga, le aggressioni di Varese a Eboué e Benhassen, i buu quasi per tutti, Marc Zoro che contro l'Inter non ce la fa più, prende il pallone e se ne va. Viktor Ikpeba, nigeriano del Borussia, raccontava a Fifa Magazine: «Consiglio ai giovani africani di girare alla larga dall' Italia, per evitare che si ritrovino per strada se non riescono a sfondare. Un giovane non ha alcuna possibilità di trovare posto in un grande club italiano». Lo diceva dieci anni fa. Balotelli era un bambino.

(la Repubblica, 3 gennaio 2010)

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