La prima volta che l'hanno gettato in acqua neppure se la ricorda. «L'ho ricostruito da certe foto in casa mia. Ero proprio un bimbetto. Con una cuffietta di cotone in testa e lo stemma della Federazione». Il piccolo Mattia d'allora, adesso, ha il tempo per andare all'Olimpiade. Duecento metri dorso. La cuffietta di cotone nella foto era di papà Giuseppe, istruttore di nuoto, o forse dello zio, Mattia anche lui, quarto ai Mondiali '73 con la nazionale di pallanuoto. Eppure, quella di Aversa non è la storia di un predestinato. Lungo la strada per Pechino c'è la fatica, l'addio agli amici di Mergellina, un sofferto trasferimento a Roma. Il segno dei sacrifici è su una mano. Una cicatrice tra le nocche delle dita. Il giorno che non lo portarono ai Mondiali, spaccò una porta a pugni. La voglia di rivincita e la rincorsa verso i Giochi del prossimo agosto, cominciano quella volta lì.
«Ai campionati invernali di Riccione, non riesco a fare il tempo per la qualificazione. Mi ero messo in testa che gareggiare al quarto giorno mi avrebbe stressato di testa. Infatti resto fuori», racconta Mattia, 22 anni il prossimo 27 luglio. Ma ai primaverili di Livorno la gara è in programma il primo giorno. Via lo stress, Mattia si tuffa, chiude secondo dietro Lestingi e lima il suo personale di 8 decimi. Qualificato. «Quel tabellone elettronico con il tempo non me lo scordo più: 1.58.85». Ora benedice il giorno in cui i genitori andarono a contattare i tecnici dell'Aniene per mandarlo a Roma, 4 anni fa, dopo la medaglia d'argento ai campionati europei juniores vinta come atleta del Posillipo. «Ho dei flash. Ricordo Francesco Postiglione che si allena a rana». Poi passa alla Canottieri. «Il giorno che metto piede in piscina, mi presentano questi due ragazzi della giovanile di nome Massimiliano e Davide». Sono Rosolino e Rummolo, future medaglie olimpiche (a Sydney 2000), le prime del nuoto napoletano. Dopo il ritorno al Posillipo e l'argento euro juniores preparato con Angelo Pensato, papà Aversa capisce che i risultati potrebbero essere ancora migliori. Roma, dunque. Decide papà. «I miei genitori partirono in macchina per l'Aniene dicendomi: andiamo solo a parlare. Invece erano già d'accordo».
Mattia, che in quel momento sta studiando da perito chimico, finisce in una scuola per ragionieri a Roma. Finisce in una foresteria dell'Aniene, salone, tv con maxischermo, un lettino a una piazza e mezza e poco altro. «Ma sapevo - racconta papà Giuseppe - che lì avrebbe trovato uno staff di grande competenza. Un dietologo, un fisioterapista, tecnici specializzati. L'ho fatto per lui.». Funziona. Dopo 6 mesi diventa già campione d'Italia, sui 100 metri, che non è la sua gara preferita. E poi a Roma c'è l' incontro con Elena Gemo, la nuotatrice di Padova pure lei dell'Aniene. «Se vai forte - dice Mattia - puoi essere single, fidanzato o sposato, non fa differenza». Anche se il ct Castagnetti non la pensa così. Non vede di buon occhio le relazioni fra nuotatori della Nazionale: ne sanno qualcosa Marin e la Pellegrini. «Distrae? A volte capita che o l'uno o l'altra soffrano. Se stai bene nella vita privata, perdi un po' di cattiveria in vasca. Alla fine, secondo me, non cambia niente». Elena è rimasta fuori dal primo elenco di convocati per Pechino. «Facciamo una vita tranquilla. Un po' di shopping, un aperitivo a Ponte Milvio, allenamenti e collegiali». E Pechino? «Sono curioso di provare questi nuovi costumi rivoluzionari, grazie ai quali dicono che le prestazioni migliorano. Dovevo metterne uno intero al Sette Colli, ma si è strappato. In Cina spero di indossare il pantalone, che aiuta a tenere il sedere alto quando sei stanco di gambe nell'ultima vasca». Lui, che una volta aveva una cuffietta di cotone.
(Repubblica Napoli, 6 luglio 2008)
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