IN principio parlava il coach, e il coach diceva il vero. Chiamava time-out e schemi, bastava prestare un orecchio ai suoi ordini dall'alto. Ma un giorno Henry Williams, il campione che il mondo del basket conosceva come Hi Fly, fra un palleggio e un tiro da tre, s'è fermato e ha sentito la voce di Dio. La vera chiamata, l'ultima giocata da fare. God bless you mates, Dio vi benedica, ragazzi, la strada è un'altra. L'uomo che nel 2002 riportò la pallacanestro di Napoli in serie A, ora ha 34 anni e predica la Buona Novella nella missione della chiesa battista di New Zion, a West Todd Lane, Charlotte, nella Carolina del Nord. Il reverendo Williams scrive sermoni e insegue pecorelle smarrite, come un tempo faceva con gli avversari. «Tutto un dono del Signore. Il successo nello sport serviva a prepararmi per questa nuova vita» .
venerdì 24 dicembre 2004
mercoledì 15 dicembre 2004
Maddaloni, idolo per condanna
LA paura diffusa. «Basta che il vento sbatta più forte un portone. E' successo l'altro giorno, mentre facevo allenamento, e il cuore è volato in aria. I nervi sono tesi. Figuriamoci ora che cominciano i botti di Natale». Il dolore privato. «Certi amici d'infanzia li ho persi di vista. Soprattutto i più scaltri. Dove sono, non lo so. Mi piace immaginare che siano emigrati, non voglio pensare che ci siano finiti dentro». La rabbia civile. «Qui c'è gente che fa i debiti per comprare il pesce la domenica, e poi lasciano i figli senza un libro». E' il buio di Scampia visto con gli occhi di uno che ce l'ha fatta a non farsi risucchiare.
Senza fuggire. Pino Maddaloni, medaglia d'oro olimpica nel judo, vive là dov'era prima di diventare un nome celebre, quartiere Miano, a poche centinaia di metri dal teatro dell'angoscia. «Vado in Nazionale e i compagni vogliono sapere a Napoli che succede. Succede che qui è un vulcano in eruzione, ecco».
Senza fuggire. Pino Maddaloni, medaglia d'oro olimpica nel judo, vive là dov'era prima di diventare un nome celebre, quartiere Miano, a poche centinaia di metri dal teatro dell'angoscia. «Vado in Nazionale e i compagni vogliono sapere a Napoli che succede. Succede che qui è un vulcano in eruzione, ecco».
giovedì 9 dicembre 2004
Liz Bachman
Santa Monica, Redondo Beach, la collina di Hollywood, e adesso Arzano. «Che c'è di strano?». Elizabeth Bachman mette in ogni sguardo il candore immacolato d'una bambolona. Dal suo metro e 94 d'altezza, chiude gli occhi sulle differenze fra Los Angeles e qui, la periferia di Napoli a cui sono rimaste appiccicate addosso le etichette sintetiche degli alunni del maestro D'Orta, le "case sgarrupate", il film con Villaggio e tutto quanto il resto. E' venuta per giocare a pallavolo in quell'Original Marines che sta diventando la grande sorpresa del campionato di serie A2, lei, una delle migliori al mondo nel suo ruolo. «Mi hanno aperto con un sorriso le porte delle loro case, con semplicità, con affetto; e in fondo Los Angeles non era la mia città...».
Laggiù ci studiava soltanto, University of California, Ucla, il camp dell'Orso Bruno gialloblu, lo stesso in cui sono nati e cresciuti un bel po' di monumenti dello sport americano, le volée di Arthur Ashe e Jimmy Connors, gli sprint di Evelyn Ashford e Jackie Joyner, il pugno chiuso di Tommie Smith, il gancio-cielo di Kareem Abdul Jabbar. Per Ucla, Liz Bachman ha segnato 1000 schiacciate e 500 muri, una delle 4 giocatrici di tutti i tempi a spingersi su queste cifre.
Laggiù ci studiava soltanto, University of California, Ucla, il camp dell'Orso Bruno gialloblu, lo stesso in cui sono nati e cresciuti un bel po' di monumenti dello sport americano, le volée di Arthur Ashe e Jimmy Connors, gli sprint di Evelyn Ashford e Jackie Joyner, il pugno chiuso di Tommie Smith, il gancio-cielo di Kareem Abdul Jabbar. Per Ucla, Liz Bachman ha segnato 1000 schiacciate e 500 muri, una delle 4 giocatrici di tutti i tempi a spingersi su queste cifre.
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