mercoledì 15 dicembre 2004

Maddaloni, idolo per condanna

LA paura diffusa. «Basta che il vento sbatta più forte un portone. E' successo l'altro giorno, mentre facevo allenamento, e il cuore è volato in aria. I nervi sono tesi. Figuriamoci ora che cominciano i botti di Natale». Il dolore privato. «Certi amici d'infanzia li ho persi di vista. Soprattutto i più scaltri. Dove sono, non lo so. Mi piace immaginare che siano emigrati, non voglio pensare che ci siano finiti dentro». La rabbia civile. «Qui c'è gente che fa i debiti per comprare il pesce la domenica, e poi lasciano i figli senza un libro». E' il buio di Scampia visto con gli occhi di uno che ce l'ha fatta a non farsi risucchiare.
Senza fuggire. Pino Maddaloni, medaglia d'oro olimpica nel judo, vive là dov'era prima di diventare un nome celebre, quartiere Miano, a poche centinaia di metri dal teatro dell'angoscia. «Vado in Nazionale e i compagni vogliono sapere a Napoli che succede. Succede che qui è un vulcano in eruzione, ecco».


I Maddaloni si sono consacrati ai sacrifici e al judo. Pino salì sul podio di Sydney, poi a Palazzo Chigi fece la foto col ministro Melandri in braccio. Il fratello Marco è fresco di titolo d'Europa Under 23. Senza celebrazioni. «Che festa fai, in un momento così?». La sorella Laura è una campionessa d' Italia con la divisa della Finanza addosso. Sono tutti cresciuti sul "tatami" di casa, nella palestra che gestisce papà Gianni, il primo allenatore. E' lui l'uomo che li ha tenuti lontani dall'inferno. «Abbiamo vissuto alle Vele, poi a Secondigliano, al Rione Don Guanella, ora a Miano. Intorno, mai niente. Solo tentazioni: aggiungile alla mancanza d'istruzione e hai la miscela del disastro. I ragazzi che cercano un lavoro sbattono contro un muro. Finché non scoprono che la malavita, un lavoro, te lo viene a offrire fin dentro casa. Per fortuna, sono cresciuto con un padre che mi ha insegnato a non vergognarmi del sudore. Gli altri mi chiamavano scemo perché mi alzavo all'alba per andare a correre al Bosco di Capodimonte. La vergogna è di chi ruba, mi diceva papà, e me lo dice ancora».

Gianni è diventato un padre pure per qualche figlio non suo. Nella sua palestra passano ogni giorno un centinaio di ragazzi. Vanno e vengono, sanno che lì possono respirare una boccata d' aria nuova, sanno di poter trovare un mondo con delle regole. Di più non ne entrano, e fino a poco tempo fa i Maddaloni erano persino sotto minaccia di sfratto. A giugno avranno finalmente uno spazio più grande, un' area da 750 metri quadri da dividere coi padri gesuiti e con un' associazione che fa del volontariato. Col sostegno del Comune, partirà il Progetto Maddaloni per Scampia. Judo insegnato ai bambini dai 3 anni in su, attività sportiva gratuita per 500 persone segnalate da circoscrizione, scuole e parrocchie, senza limiti d' età. «Servirà del tempo. Non si incide in pochi mesi un bubbone che s'è gonfiato per decenni. Coi trentenni non c'è quasi più niente da fare, bisogna lavorare sui loro figli. A Scampia chi volete che investa, un privato? Sarebbe un pazzo. Possono farlo solo le istituzioni. Quel magnifico pazzo dev'essere il Comune», insiste Pino, che per il 2005 sogna il titolo mondiale, dopo lo strappo muscolare che gli ha impedito di difendere l'oro olimpico ad Atene. «Devo farcela, non solo per me stesso. Dopo l'oro del 2000, in tanti mi hanno messo in testa l'idea che in questo quartiere sono un esempio da seguire. Ne vado fiero. Non sono nato benestante, non guadagno miliardi, mi rimane la faccia, e voglio metterla dovunque sia utile. Me li ricordo i miei giorni da bambino nella 167. I simboli del successo e gli esempi da seguire erano i grandi che facevano gli scippi in strada. E allora mi dico che l'idolo lo devo fare. Io, e dopo di me mio fratello, e dopo lui un altro».

Repubblica Napoli, 14 dicembre 2004

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