mercoledì 8 aprile 2015

Il fascino antico della punizione in area


C'ERA sempre, da bambino, uno che faceva la domanda. «Arbitro, posso tirare?». E quello, poverino, con una santa pazienza a spiegare che bisognava guardare come teneva il braccio. Se alto o basso. Regola 13. Il calcio di punizione. Diretto o indiretto. Fino al giorno in cui arrivava per tutti l'età della conoscenza e dell'accesso alla scoperta avanzata: esiste una punizione in area di rigore. Una vicenda sorprendente e misteriosa, i grandi la spiegavano quasi con la stessa meraviglia che accompagna la storia dell'ape, il pungiglione, il polline e il pistillo. Pareva roba d'altri tempi, invece il gol di Tevez riporta tra noi questo gesto dimenticato. È stato una rarità negli ultimi quindici anni di calcio, per una serie di modifiche regolamentari e perché il basket ha ispirato l'introduzione dei blocchi, così il fallo di ostruzione d'una volta non si fischia quasi più. Come il gioco pericoloso. Un calcio a due in area ormai si vede solo se un Rugani tocca la palla all'indietro e un Sepe la afferra con le mani anziché scaraventarla via con una pedata, come nel frattempo i portieri hanno imparato a fare, alcuni peraltro in modo sommo.
La punizione a due da fuori area si risolve in genere in un'esibizione di brutalità. Uno la tocca e pam, parte verso la porta uno di quei tiri che lungo l'Italia diventano una stecca (Roma), una lecca (Genova), una tega (Bologna), una mina (Firenze), una lorda (Torino), una cannella (Milano), una cagliosa (Napoli), una sbombarda (Bari), una schìsina (Nuoro), un sufuni (Catania) e una sifuniata (Palermo). Per la Gialappa's, una sabongia. Nel '71, in un Fiorentina-Cagliari, Domenghini sparò alla cieca come se fosse stata punizione diretta, Superchi si spostò e fece passare la palla in porta. Gol valido. L'arbitro disse che aveva deviato Chiarugi, se n'era accorto solo lui e rimase assediato un'ora nello spogliatoio. Ma il calcio a due in area è un'altra cosa. Serve qualcosa in più. Serve misura, conoscenza degli spazi, un'invenzione. Amadeo Raúl Carrizo, leggendario portiere argentino del River Plate fra il '45 e il '68, lo sapeva e per primo cercò l'antidoto alle genialità altrui. Metteva la barriera sulla linea di porta, otto compagni, e lui non dietro, ma davanti. Perché il calcio a due in area esige sempre immaginazione. Non è un caso se le firme sui gol sono spesso nobili. Aveva ventuno anni non ancora compiuti Michel Platini quando segnò così il suo primo gol in nazionale, per giunta all'esordio, contro la Cecoslovacchia, era il 1976, una parabola dolce da una dozzina di metri. A due in area è la punizione più famosa di tutte, compie trent'anni a novembre. La segnò Maradona alla Juve sotto il diluvio. Eraldo Pecci voleva rifiutarsi di toccargliela: «Diego, siamo troppo vicini». Risposta: «È vero, siamo vicini, tu passamela, io gli faccio gol lo stesso». Gol che Gianni Brera definì demoniaco e che raccontò così: «Ha scucchiaiato di mezza punta interna la palla d'un "due calci" sopra l'incombente barriera degli avversari, l'ha fatta volitare ambigua verso la porta e poi, improvviso, piegare e picchiare a destra, dove i due pali si congiungono in alto, alla sinistra di Tacconi. A questo prodigio sono svenuti ben sette napoletani, due dei quali hanno rischiato l'infarto. La gente è sbucata urlando ossessiva di sotto gli ombrelli. Non dimenticherò mai simili scene di amenissima follia collettiva». E adesso alla galleria dei prodigi si aggiunge quello di Tevez, che il tiro a "due calci" ha reinterpretato in chiave moderna, prendendo a modello un gol di Batistuta del '98 al Milan. Del resto, anche i grandi accarezzatori di pallone oggi non possono fare a meno della fisicità. Dal vertice della lunetta, su tocco di Vidal, Tevez ha visto uno spazio minuscolo sotto la traversa e l'ha messa lì. Con classe, con eleganza, ma era una lorda, o forse era una leppa.

(la Repubblica, 7 aprile 2015)

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