mercoledì 3 dicembre 2014

Pirlo e il colpo dell'ultimo istante


POTEVA urtare contro un piede o uno stinco. Poteva sbattere contro la folla di gambe lungo il tragitto, oppure sul palo, andare fuori, alto, finanche altissimo. Poteva andare ovunque quel pallone, anziché nel solo angolo libero con l'ultimo tiro della disperazione. Ma questo è il tipico vizio dei super eroi: ridursi all'ultimo istante. Deviano il meteorite solo nel momento in cui sta per colpire la terra, mai che si sveglino un attimo prima. Dai film della Marvel e della Pixar, almeno i bambini hanno imparato la lezione. Non si lascia il cinema finché c'è il buio, nemmeno quando scorrono i titoli di coda. Non è finita se non è finita. Qualcosa succede pure quando credi non ci sia più niente da vedere. Ora, puoi essere Cristopher Nolan che si rifiuta di aggiungere scene dopo la scritta "the end": lo ritiene poco serio. Oppure sei Andrea Pirlo, e nel caso l'affare si complica. Per gli altri.
Se c'è un piede nella Juve a cui affidare un esito con un colpo, un colpo solo, quel piede è il suo. Dieci secondi, nove, otto. Tutti sanno che la palla finirà a lui. Sette, sei, cinque. Tutti sanno che è l'uomo da guardare, in effetti lo guardano, in effetti non basta. Quattro secondi. Sembrano pochi solo a chi osserva, ma un uomo che non sorride mai deve per forza avere fiducia in sé. Forse qualcosa c'entra pure il Torino, unica squadra al mondo a poter perdere una partita all'ultimo tiro avendo un uomo in più. Bastava stare attenti, si sa che con il last minute qualcuno ti tira la fregatura. Ma questo è un gol che profuma di basket. Meglio di Pirlo l'avrebbe segnato solo Michael Jordan. Come quella volta contro Cleveland, maggio ‘89. Ha un attimo, l'ultimo pallone, un piccolo spazio a cui mirare e il mondo addosso. Paf. Dentro. Nei tiri allo scadere aveva una percentuale di uno su due. Un anno in Nba questo ruolo se lo prese Kobe Bryant, sette canestri decisivi sulla sirena. Spiegazione: «Non puoi startene seduto a guardare un crimine che avviene sotto i tuoi occhi». Il super eroe. E comunque. Nel calcio una volta si sarebbe chiamato gol "a tempo scaduto", adesso nel recupero ci puoi preparare la cena. È la vecchia zona Cesarini, da Renato, juventino pure lui. Negli anni ‘30 segnò due volte in una settimana al 90' e diventò una figura retorica, per invenzione del giornalista Eugenio Danese. È tuttora il santo patrono dei gol disperati. «Servono certe qualità», spiegava. Pirlo è andato oltre, qui siamo al gol che quasi non ti lascia battere la palla al centro. L'estrema unzione. Come Solskjaer nella finale di Champions ‘99, il francese Wiltord contro l'Italia agli Europei 2000, il rigore di Totti con l'Australia (2006). Se poi un gol così al 93' lo segna un signore di 35 anni, si aggiunge segno a segno. È la creatività che si rigenera, alla Tiziano, pittore ispiratissimo pure in vecchiaia e che anzi per civetteria gli anni se li aumentava. Siamo nel campo di Clint Eastwood, Oscar a 75 anni e senza un colpo sbagliato ora che ne ha 84. Oppure Verdi, che tirò fuori il Falstaff a 80. Un gol al 93' a 35 anni è l'elogio dell'infinito, della speranza legata al desiderio. È il gol più leopardiano di sempre. Poi la festa finisce, gli amici se ne vanno e se ne va pure il sabato del villaggio. Ma a Pirlo importava solo non vederci rimessa la chiesa al centro.

(la Repubblica, 2 dicembre 2014)

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