giovedì 18 dicembre 2014
La stanchezza di Zeman
GUARDATEGLI le rughe e la pelle che il sole sardo gli ha spiegazzato più di prima. Guardategli la faccia sfinita da sedici anni di polemiche, ed ecco chiarito il primo Zeman vs. Juve senza tracce apparenti di veleno. E le battaglie, le lotte, le campagne? Parole di qualche settimana fa: «Ridirei tutto e aggiungerei altro ma in questo momento non ricordo bene». Punto. A capo. «Non ricordo bene». La frase che in tribunale non aveva pronunciato mai. È finita la giostra, guardate solo il mio calcio color tramonto, questo predica Zeman una volta sfilato dalle spalle il poncho dell'eroe che un tempo camminava nella polvere per moralizzare il vecchio West. Ha passato la vita a mescolare Nietzsche con Clint Eastwood, sublimando la volontà di potenza nella moralizzazione dei costumi. Ma l'eroe è stanco, pazienza se oggi pomeriggio arriva la Juve, anche i saloon hanno un orario di chiusura.
«Voglio solo fare calcio», disse già due anni fa voltando lo sguardo da un'altra parte, alla vigilia del campionato in cui tornava alla Roma, la stessa panchina su cui sedeva quando cominciò la guerra, estate ‘98, perché le guerre cominciano sempre quando fa caldo. Le pillole magiche, il calcio in mano ai farmacisti, le esplosioni muscolari. Un gigantesco polverone, le accuse a Del Piero e Vialli, battibecchi con Ciro Ferrara, rumore di speroni e di stivali. Le prove quali erano? «Capto le voci, le atmosfere che girano nell'ambiente». Ma il polverone si diradò e il calcio italiano, come Colombo che cercava le Indie e scoprì l'America, s'accorse che davvero l'antidoping nei laboratori era avanspettacolo. È caduto un presidente del Coni, su questa storia. Con Lippi, in tv e sui giornali, se le sono date di santa ragione, all'epoca e dopo, quando la storia è poi finita davanti ai giudici con un epilogo che ancora oggi ciascuno tira dalla propria parte: assoluzione della Juve in Cassazione dall'uso di sostanze dopanti, ricorso accolto della procura sulla necessità di un nuovo processo perché la lista dei farmaci consentiti era cambiata, processo però mai più tenuto per prescrizione. «Se a uno non va bene un sistema, non ne fa parte», così la pensava Lippi, nel frattempo diventato ct dell'Italia. «Oppure lo vuoi cambiare, vuoi farlo diventare pulito », gli rispondeva Zeman.
E poi la Borsa, e poi Calciopoli, e poi polemiche su quasi tutto. «Io sono contento delle mie sconfitte e non le cambierei con le vittorie di Lippi». Un corpo a corpo che teneva in piedi un simbolo, ma intossicava il suo calcio giocoso e spensierato, costringendo sullo sfondo i meriti e i valori del maestro di sport. «Sono uno dei tanti innamorati della Juve». Chi l'ha detto? Lui. La prima volta che si incrociarono, 1988, Zeman non era ancora Zeman e la Juve era già la Juve. Amichevole a Messina, risultato 3-3, doppietta di Salvatore Schillaci, che poi diventerà Totò. Inutile ricordare al mondo mille e mille volte che lui era il nipote dello juventinissimo Vycpálek e che da bambino dormiva con la maglia bianconera. Inutile ripetere che «non ce l'ho con la Juve, ma con chi ha fatto del male al calcio e quelle persone lavoravano per la Juve. È diverso». Zeman è andato avanti pensando di aver smesso di allenare sul serio quando si mise contro il sistema. Che in tribunale diventò il Sistema. La Juve, come da suo tratto identitario, ha trasformato gli attacchi del Nemico in benzina. Ancora Lippi: «Quando i tifosi avversari ci urlano di saper solo rubare, i miei pensano: altro che ladri, adesso vi sfondiamo». Perciò quando adesso si nomina Zeman s'intende un pacchetto indissolubile di verità, slogan e luoghi comuni. Ogni cosa intorno a lui è diventata ideologia. Di qua e di là. Eppure, quasi simbolicamente, Zeman arriva a stasera dopo tre partite di campionato in cui il Cagliari non segna e dopo uno 0-0, risultato che gli mancava da otto anni. Arriva davanti alla Juve come nudo, consapevole del fatto che alla fine di un western un eroe stanco è più potente di un moralista. Un po' come ne Gli Spietati , quando a Gene Hackman che a terra mormora «io non merito di morire così», Clint risponde: «Il merito qui non c'entra niente». E spara. Che la Juve si arrangi, il Nemico non c'è più.
(la Repubblica, 18 dicembre 2014)
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