giovedì 27 marzo 2014

Tilkowski e il gol fantasma

C'è sempre qualcuno che si avvicina e mi chiede, Posso farti una domanda. E io senza neppure aspettarla rispondo, Non era entrata. Tanto so già cosa vogliono sapere: se il tiro di Hurst era dentro o fuori. Non era gol, lasciatevelo dire da me, Hans Tilkowkski che ero lì vicino. Il portiere che ha subito il gol fantasma più famoso che c'è. Finale dei Mondiali del '66, stadio di Wembley. L'Inghilterra padrona di casa contro di noi, la Germania. Noi in bianco, loro costretti a vestire di rosso. A nessuno importa mai cosa successe nei primi 90 minuti. Nessuno che venga a chiedermi cosa disse Haller dopo il gol del vantaggio, o che cosa gridai a Höttges quando si fece scappare Hurst nell'azione del pareggio.

A proposito di Chris Martin e Gwyneth Paltrow


Puoi essere uno che sa dire Your skin and bones turn into something beautiful. Puoi scrivere le più apprezzate canzoni d'amore del nostro tempo, raccontando di sentirti preso, catturato, come al centro della tela di un ragno. Puoi essere il più strafico delle stelle del pop mondiale, e non sarai comunque al riparo. Anche se cento canzoni le hai scritte tutte per lei. Lei che era stata Wendy con Spielberg e la Emma di Jane Austen, lei che ha vinto un Oscar con Shakespeare e sa come si può parlare d'amore, lei di cui si invaghisce pure Iron Man. Pensa un po'. Il riparo da una storia d'amore che finisce, non esiste neppure per chi l'amore ha dimostrato di saperlo maneggiare. Se Chris Martin e Gwyneth Paltrow si lasciano, possiamo sentirci un pochino più leggeri e rilassati anche noi, con le nostre vite normali e i nostri banali fallimenti.

giovedì 20 marzo 2014

Iribar, la bandiera dei baschi

Francisco Franco era morto da un anno. Il giorno del derby, il mio Athletic Bilbao contro la Real Sociedad, con Inaxio Kortabarria tirammo fuori la ikurriña. La nostra bandiera era stata messa al bando. Ci eravamo sentiti baschi in clandestinità. Stavolta invece era lì, sotto gli occhi di tutti, in campo, e in campo c'ero anch'io, José Ángel Iribar.

lunedì 17 marzo 2014

Zero a zero, il documentario sui sogni spezzati

Che portiere era Andrea Giulii Capponi. Il numero uno della nazionale under 17, la speranza della Roma di Mazzone, di corsa nei boschi nel ritiro di Lavarone spalla a spalla con il Principe Giannini. Che numero 10 quel Daniele Rossi, a sedici anni miglior giocatore del torneo di Parigi, gol suo in finale, 1-0 al Benfica, nello stadio in cui avevano girato Fuga per la vittoria.

domenica 16 marzo 2014

La mutazione genetica dei colchoneros

export_25 Battuto anche l'Espanyol, dopo aver eliminato il Milan in Champions, l'Atlético Madrid può starsene buono buono a vedere cosa accadrà domenica prossima nel Clásico fra Real e Barcellona, e magari approfittarne. Ma intanto qualcosa di grosso è già successo. Anche grazie alle meravigliose campagne promozionali dell'agenzia Señora Rushmore, l'Atleti ha dato di sé in questi anni un'immagine speciale, quella di un mondo in cui l'identità è al centro di ogni cosa, dove la passione unisce e va oltre le ideologie politiche, dove il tifo è un vizio più duro da sconfiggere del fumo e del poker, un mondo in cui si può essere eternamente grandi con la fede che qualcosa si vincerà, anche senza vincere mai, o comunque non quanto il Real. Poi è arrivato Diego Simeone, la cui faccia compare su sciarpe e bandiere.

mercoledì 12 marzo 2014

Yashin il portiere Pallone d'oro

La mia maglia nera non era. Fidatevi. Era di un blu molto molto scuro, una maglia di lana con il numero uno cucito dietro la schiena. E dentro io, Lev Yashin, o se volete chiamatemi Leggenda. Ne cambiavo pochissime di maglie in un anno. Non più di tre. Quando le maniche si consumavano. Preferivo portarla a casa, dopo la partita, ci pensava mia moglie Valentina Timofeevna Jascina a farla tornare pulita. La immergeva nella vasca da bagno, la vasca diventava cupa, pareva che lì dentro calasse la notte, si riempiva di fango e segatura. Vestivo di lana anche d'estate, pensavo che così imbottito almeno non mi sarei fatto male.

domenica 9 marzo 2014

I 40 anni di musica di Angelo Branduardi


Le canzoni italiane erano fatte d'acqua azzurra, acqua chiara e piccoli grandi amori. Oppure avevano locomotive in fiamme e il profilo di Saigon, avevano zingari felici. Finché è arrivato Branduardi, di nome Angelo, flauto dolce e violino, uno che vestiva di musica le parole di Esenin, citava Calvino e si ispirava a Musil. Bum. Sono quarant'anni che è qui, a vivere la sua scena come un'anomalia, "non per provocazione, non per scelta, è stata questa musica a venire da me".