lunedì 5 marzo 2012

Il senso di Dalla per la pelle

Il sogno di questo blog è diventare un'opera collettiva. Per un po' c'è stato il contributo di Panchester, sarebbe bello avere le recensioni letterarie di Petulia (gliela butto lì), e finalmente torna Buildo. L'autorevole Buildo.

C’era un tempo in cui Ottantacento non si faceva chiamare così. Il tempo in cui Andreotti decideva tutto su giornali e giornalisti. Beato chi lo conosceva. Quando Ottantacento non si faceva chiamare così, un giorno parlammo di Dalla e dei tòpoi presenti nei suoi pezzi. La parola tòpoi la usò lui (Ottantacento non era ancora Ottantacento ma un ragazzo già molto preparato). Il tòpos luna e il tòpos stelle vennero facili. Poi saltò fuori la pelle. Non so a lui, a me la pelle stava a cuore. Ma assai. Oltre che la profondità interiore e una buona disposizione all’igiene intima, nelle donne ho sempre cercato la qualità della pelle. Perciò mi piaceva che Dalla se ne occupasse. Prima di Venditti, prima che Venditti piazzasse il brevetto e che nella canzone italiana i diritti sulla pelle diventassero suoi.
Ora, nella pregevole nuvola dell’apprezzato Ottantacento non trovo la pelle di Dalla. E’ stato come non ritrovare il giorno dei tòpoi. Ho dovuto aprire gli occhi, accorgermi che un’epoca è alle spalle, travolta da questo progresso feroce che ci lascia indietro e che non sanno più che devono inventare. Il wordle ha dissolto ciò che credevo realtà. Allora tocca ingoiare che Andreotti non è mai intervenuto, che Cocuccio è solo uno schizzo pazzo della memoria e che noi non corressimo spensierati dietro a una bella capata con una tripla e tre doppie.
Ma la pelle in Dalla c’è, c’è tutta, il tòpos era tòpos, non una falsa sensazione. Non abbastanza, vengo a sapere. Questione di quantità. E noi che invece siamo per la qualità, la pelle di Dalla andiamo a cercarla lo stesso. Così. Per passeggiare un po’ all’indietro e scrivere qualche riga in più. Non tutta, eh? Quelle due o tre che vengono.
STELLA DI MARE – Comincerei qui. Qui dove la pelle è sempre bianca. Sorvoliamo sull’analisi etnica, dedichiamoci felici a una piccola riflessione estetica. Vedrete da soli, di rilievo e interesse elevatissimi.
La pelle bianca, quando non è associata a un pallore malato, è un’evidente lusinga poetica. E infatti presumiamo che Dalla, alla figura con cui divide il letto e che vorrebbe tanto toccare, intende rivolgere un complimento. Più avanti dice pieno di struggimento: “Come sei bella, e com’è bella la tua pelle bianca bianca bianca”. Ma allora perché il candore della pelle, che nei versi passa per fattore di seduzione, nel nostro mondo soccombe così spesso a un’incipriata di fard? E perché si va a caccia d’abbronzatura? Non tralasciamo che una pelle bianca possieda una rilevante congruenza semantica con un’anima limpida. Se il candore è quello spirituale, spiritualmente trionfi. Ma questo non spiega tutto. Spero che nessuno di voi ricordi Edward Burnett Tylor (faccio una figura migliore), antropologo e teorico delle sopravvivenze. Tylor sostenne che alcune delle usanze e dei costumi di una civiltà sono inspiegabili per i bisogni contemporanei, in realtà sopravvivono quali residui di uno stadio precedente di quella stessa civiltà. E siccome Dante nella Vita Nuova (XIX, 11) dice di Beatrice: “Color di perle ha quasi, in forma quale / convene a donna aver”, noi ci allarghiamo una cifra e argomentiamo che il pallore femminile, esaltato nel secolo del Dolce Stil Novo e fino al Rinascimento, vada ora interpretato come una pura sopravvivenza estetica della poesia novecentesca (e forse della successiva), quando invece il gusto comune, il più condiviso, fa ormai desiderare la pelle ambrata. Visto che era di rilievo e interesse elevatissimi? L’avevo detto.
CARA – Quando Dalla sistema la pelle in finale di verso, vuol dire che lì probabilmente cadrà la rima con le stelle. Però è un fatto che la pelle giunga quasi sempre in anticipo, cioè nel verso che precede. Può voler dire che conta di più? Più la pelle che non le stelle? Sì. Può voler dire. Di certo, nella testa di Dalla la pelle ha un valore notevolissimo (dai, avevo ragione). Cara non fa eccezione. C’è la pelle, e poi in rima baciata le stelle. La tentazione della lettura psicanalitica – madonna - è irresistibile. La notte madre invece che calore dispensa freddo e se ne infischia della presenza insignificante di lui (uno sputo), sta lì a contare le stelle del suo cielo, pienamente autocentrata, narcisisticamente sedotta solo da sé stessa.
Più rilevante è che qui la pelle non sia fattore primario. Intanto è la sua, di Dalla. Non è la pelle cruciale, più strategica, che appartiene all’oggetto desiderato. Il ruolo-chiave che altrove ha la pelle, Cara sceglie di rappresentarlo servendosi dei capelli. Sono di lei, sono tanti, innumerabili, abbastanza da nascondere e rendere indecifrabile, sono ciò che occorre all’oggetto per alzare difese, o magari predisporre la fuga.
ANNA E MARCO – Non amo questo pezzo (dedicato a una vecchia rubrica del Guerino “E chi se ne frega”). Non ne amo la trasparenza, la letteralità esplicita. Dalla è un produttore strepitoso di figure oscure, di sagome enigmatiche, è un generatore di deformità fuzzy, di creature sfigurate. Anna e Marco invece sono solo la personificazione squadrata di una routine da angoscia, dello stereotipo inquieto della provincia distante, in cui si sogna e si appassisce. Anna e Marco conducono sulla scena di film come “L’ultimo spettacolo” di Bogdanovich o “La caccia” di Penn. E lui, Dalla, ci stava forse pensando quando scriveva “aria da commedia americana”. Ovvio che questa non sia commedia, è vita che si nutre di morte.
Anna e Marco la pelle non ce l’hanno per esibirla, né per sedurre. Ce l’hanno per scambiarsela, come calciatori Panini. E chi li ha visti tornare tenendosi per mano non può sapere dove finiscono davvero. Ipotizzo: “A letto insieme senza pace, senza più niente da inventare, esser costretti a farsi anche del male per potersi, con dolcezza, perdonare”. Sul mio personalissimo cartellino, ciò che di più straordinario Dalla abbia mai scritto. Avrei voluto dirglielo: come cacchio hai fatto? Come hai potuto creare quel saliscendi di parole? Forse esagero, ma lì dentro c’è tutto il bene e tutto il male del mondo.

1 commento:

elena petulia ha detto...

E io che me l'ero persa:-)
Sai che c'è? Che non leggo quasi più e tutto mi fastidia, o quasi. Stoner non è male, ma aspetto a dirlo di averlo finito. Potrei giusto fare un piatto, toh, per contribuire.