Simeone aveva già il carattere per portare la 10 dell'Argentina dopo Maradona, per litigare con Beckham e per definire Capello «uno che parla troppo». Ma in quattro anni di Madrid è successa una cosa nuova. È uscito dai margini del campo. Cholo è il suo soprannome, cholismo si chiama la devozione per lui, un neologismo accettato pure dalla Fundéu, l'ente che vigila sull'uso dello spagnolo.
Ha preso un mondo che si autocompiaceva del destino da sconfitto e lo ha convinto di poter essere invulnerabile. Il suo slogan "partita dopo partita" è in uno studio pubblicato dalla Harvard Business Review e firmato da tre professori universitari spagnoli. Pedro Nuñez-Cacho Utrilla, docente di organizzazione d'impresa e marketing a Jaén, ci ha lavorato con Beatriz Minguela Rata (scienze economiche alla Complutense di Madrid) e Juan Manuel Maqueira Marín (dipartimento di Jaén): i primi due dell'Atlético sono tifosi. «Con la sua capacità di motivare i giocatori e chiedere il sacrificio dell'ambizione personale per il bene del gruppo, Simeone è la chiave di un modello economico per piccole e medie imprese. Le grandi aziende progettano lungo l'arco di 5 anni, con un Simeone c'è una alternativa vincente ». Il partita-dopo-partita. «Focalizzarsi sul respiro breve per trarre vantaggi in termini di competitività. Può sembrare Orazio: carpe diem. Ma serve un leader che porti innovazione e flessibilità. No a contratti lunghi, cessione dei giocatori che hanno mercato, reinvestimenti in talenti». Il cholismo in economia.
Si soffre ancora dietro l'Atlético, non più per cullarsi nella malinconia della sconfitta come da vangelo secondo i colchoneros, i materassai che con le loro stoffe crearono le maglie rosse e bianche. Ora si soffre per difendere la vittoria. Sentimento uguale, direzione invertita. Come Klopp a Dortmund, Mourinho a Milano, Conte alla Juve. Frutti di una stessa pianta. L'ossessione. La ferocia. Perciò mentre Luis Enrique non si presenta al Calderón e fa spostare le tv nel suo albergo, Simeone parla nello stadio che sarà pieno: «Non devo invitare i tifosi a far nulla, se non a essere i soliti». Ha costruito un Atlético che non si preoccupa di imporre il gioco, ma di imporre la sua teoria del gioco, e cioè «portare la partita dove vogliamo ». Nel territorio del cholismo.
«L'intensità, la velocità, il contatto». Non si vergogna a dirlo, perché essere dentro questa religione laica «significa perseveranza, non dar mai niente per perso, lottare contro le difficoltà. Questa è la nostra forza: sapere che siamo competitivi contro chi è più forte di noi». E comunque le parole giuste, al centro del cerchio, alla fine deve averle trovate. Perché quando smette, i giocatori gli battono le mani.
Si soffre ancora dietro l'Atlético, non più per cullarsi nella malinconia della sconfitta come da vangelo secondo i colchoneros, i materassai che con le loro stoffe crearono le maglie rosse e bianche. Ora si soffre per difendere la vittoria. Sentimento uguale, direzione invertita. Come Klopp a Dortmund, Mourinho a Milano, Conte alla Juve. Frutti di una stessa pianta. L'ossessione. La ferocia. Perciò mentre Luis Enrique non si presenta al Calderón e fa spostare le tv nel suo albergo, Simeone parla nello stadio che sarà pieno: «Non devo invitare i tifosi a far nulla, se non a essere i soliti». Ha costruito un Atlético che non si preoccupa di imporre il gioco, ma di imporre la sua teoria del gioco, e cioè «portare la partita dove vogliamo ». Nel territorio del cholismo.
«L'intensità, la velocità, il contatto». Non si vergogna a dirlo, perché essere dentro questa religione laica «significa perseveranza, non dar mai niente per perso, lottare contro le difficoltà. Questa è la nostra forza: sapere che siamo competitivi contro chi è più forte di noi». E comunque le parole giuste, al centro del cerchio, alla fine deve averle trovate. Perché quando smette, i giocatori gli battono le mani.
(uscito su Repubblica il 13 aprile 2016)
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