Nella bellissima intervista data a Emanuela Audisio - stamattina su Repubblica in edicola - Yannick Noah [1] prova a offrire fra tante altre cose la risposta a una domanda che ci stiamo facendo sul tennis contemporaneo. È una risposta forse più filosofica che tecnica, ma ci sono momenti in cui la tecnica non riesce a spingersi fino alla verità. La domanda è sotto i nostri occhi da un po' di tempo: perché il tennis s'è trasformato da sport della precocità in sport della longevità?Guardiamo la classifica Atp attuale. I primi dieci al mondo hanno tutti dai 28 anni in su. Cinque giocatori ne hanno più di 30. Non era mai successo. L'istante in cui comincia questa mutazione è ricostruibile agevolmente. Sei - sette anni fa. Nel 2009 e poi di nuovo nel 2010, e da quel momento sempre con maggiore frequenza fino a diventare norma, nessun ragazzo sotto i 20 anni riesce più a chiudere la stagione fra i primi quaranta della classifica Atp, in qualche caso neppure fra i primi cento. Per il tennis è uno shock di non poco conto. È questo lo sport che più di tanti altri siamo stati abituati ad associare a campioni teenager, perché giovanissimi erano i suoi eroi (Borg, McEnroe e via via gli altri) quando da sport dell'élite è diventato sport di massa, quando cioè la televisione lo ha portato nelle nostre case. Il tennis anni Ottanta vede tre diciassettenni aggiudicarsi uno Slam: Wilander a Parigi '82, Becker a Wimbledon '85, Chang a Parigi '89. Prima di loro, Borg aveva vinto il suo primo Roland Garros dieci giorni dopo essere diventato maggiorenne (1974), portando con una fascetta tra i capelli e una magliettina attillata questo gioco dell'aristocrazia per sempre in un territorio pop.
Tra le ragazze il teen-is si impone un attimo prima che fra gli uomini: nel '79 la sedicenne Tracy Austin vince gli Us Open. Arriveranno poi Hana Mandlíkova a Melbourne (18 anni, 1980), Steffi Graf a Parigi (pochi giorni ai 18, 1987), Arantxa Sánchez sempre a Parigi (17 nel 1989), così come Monica Seles (16 anni nel 1990), Mary Pierce (20 anni, Melbourne 1995), Martina Hingis - la più giovane della storia (16 anni e 117 giorni, Melbourne 1997), Iva Majoli (19 a Parigi 1997), le sorelle Williams: Serena a New York '99 (pochi giorni ai 18), Venus a Wimbledon 2000 (pochi giorni dopo i 20). Nel 1989 al torneo di Boca Raton si presenta in finale una ragazzina americana di 13 anni e 11 mesi, figlia di un pugliese: Jennifer Capriati. Al suo debutto da quattordicenne in uno Slam arriva in semifinale a Parigi, diventando qualche settimana più tardi la più giovane testa di serie nella storia di Wimbledon.
Il più giovane nell'alta classifica oggi è Nick Kyrgios, compie ventuno anni a fine aprile ed è da poco al numero 20. Nessun Under 20 è fra i primi quaranta dell'Atp. Nessun Under 23 è fra i primi dieci, nel 1992 ce n'erano addirittura sei con Courier al numero uno. Ancora nel 2002 erano cinque (Hewitt 1, Safin 3, Ferrero 4, Federer 6, Roddick 10). L'ultimo teenager a vincere uno Slam è stato Nadal a Parigi, ormai undici anni fa. L'ultimo anno d'oro per le ragazzine è stato il 2004, con i titoli della diciassettenne Sharapova a Wimbledon e della diciannovenne Kuznetsova a New York. Poi succede qualcosa. Negli ultimi dieci anni solo due volte uno Slam finisce a un Under 23: Djokovic in Australia nel 2008 e Del Potro a New York nel 2009. Lo stesso capita fra le donne: Ivanovic a Parigi 2008 e Azarenka a Melbourne 2012. Non solo. Quando tra le donne si impongono nomi nuovi, sono tutti nomi già noti. La ventottenne Kerber a Melbourne, la Bartoli a Wimbledon, Li Na ventinovenne a Parigi nel 2013, la Schiavone a Parigi 2010, la Pennetta trentatreenne a New York.
Il tennis ha eroi invecchiati proprio nel momento in cui lo sport, tutto lo sport, si scopre traslocato nel campo dell'atletismo e della muscolarità. È una contraddizione solo apparente. Per molto tempo energia e freschezza sono state un'esclusiva dei giovani. Nel tennis, e non solo, o avevi le gambe o avevi l'esperienza. Oggi i trentenni possono avere le gambe insieme all'esperienza. Le corde, le racchette, la tecnologia. Di una preparazione atletica scientifica si giovano soprattutto gli anziani. È cresciuto il peso della pressione e della capacità di gestire psicologicamente i momenti chiave. L'incoscienza da sola non è più sufficiente. La figura in cui questo passaggio si incarna due volte è quella di Martina Hingis, bambina prodigio quando il tennis era lo sport della precocità e numero uno al mondo nella classifica del doppio oggi che di anni ne ha trentacinque, nell'era dei longevi. Se non ci fosse questo tennis, la Svizzera non starebbe considerando di mandare a Rio un doppio misto composto da lei e Federer, 69 anni complessivi.
Eccola, allora, la tesi di Yannick Noah: "Mantenere il potere oggi è più facile che conquistarlo. Se sei tra i big hai uno staff colossale, viaggi in prima classe, dormi nel lusso, riposi, mangi bene, controlli il tuo ritmo. Sempre assistito dai migliori. Altro che Air Force One. Se sei un pretendente tutto è più difficile: viaggi male, dormi peggio, sei stanco, perdi lucidità. Ai miei tempi in pochi avevano l’allenatore al seguito. Eravamo soli, ma la vera partita è questa: riuscire a risolvere i problemi".
[1] Yannick Noah, 56 anni, francese nato nelle Ardenne da padre camerunense, oggi c.t. della Nazionale di Davis, cantante, ex tennista: campione junior a Wimbledon, a 23 anni vinse il Roland Garros, ultimo Slam di un francese. E' padre di Joakim, cestista, il centro dei Chicago Bulls in Nba.
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