ASPETTA la tua occasione, ragazzo, aspetta pure che arrivi qualcuno a dirti quando è il tuo momento, ma non star fermo, intanto preparati, non ti lagnare, le cose succedono all'improvviso, a volte per caso, fatti trovare pronto. Come meglio di tutti sa fare Kevin Lasagna, che fino a due anni fa giocava in serie D, a Este, e adesso va in giro per gli stadi di A come se fosse al Paese dei balocchi, a mostrare l'arte di cogliere le opportunità senza passare per opportunisti. Lui sa che il suo posto naturale è la panchina perché viene da lontano, dalla periferia del sistema, da quei campi dove non hanno mai visto una telecamera di Sky e dove non hanno la goal line technology. Sa che deve dimostrare due volte di essersi meritato tutto questo, il bello è che Lasagna lo fa. La prima volta: quando entra. La seconda: quando segna. A Verona ha esagerato, con una punizione gioiello, e al primo pallone di tutta la partita. «La tiro io». Gol. È il suo quarto in campionato, tutti così, tutti segnati alzandosi dalla panchina. Gli altri a Inter, Fiorentina e Roma. È il capocannoniere dei "dodicesimi", lui che di 28 partite ne ha giocate 21 cominciando quando gli altri erano già stanchi, e che alla prossima tornerà a sedersi. In questo calcio che vive il turn-over come una necessità, la panchina dovrebbe smettere di sembrare un luogo di frustrazione. È solo parte di un tragitto diverso per arrivare in campo. Una riserva oggi è la calamita di un'attesa, il portatore della speranza di una meravigliosa mezz'ora finale. Mertens ne è un esempio. Arriva il 60' e tocca a lui, il più subentrato dell'intera serie A: ventidue volte, di cui 14 al posto di Insigne, il cambio più visto finora.
I s.v. (senza voto) nelle pagelle sono sempre meno: bastano dieci minuti fatti bene e porti a casa il sei. Non si perde nemmeno più la Nazionale, quando si smette d'essere titolari. Almeno non all'estero. Da noi Conte fa ancora qualche resistenza («Niente azzurro per chi non gioca», agosto scorso), ma in fondo usa l'argomento secondo le necessità: Zaza e Rugani stavolta sì, Gabbiadini no, De Rossi è fuori, ma non per i 40 secondi che Spalletti gli ha concesso contro l'Inter. Firenze è il posto in cui dalla panchina hanno saputo trarre più gol di tutti, nove, con cinque calciatori diversi. Napoli è quello dove le gerarchie sono più immobili. «I titolarissimi », si dice. Allora o ti adatti o ti abbatti. Non s'è abbattuto Omar El Kaddouri, che dell'ultimo Torino era una colonna, e che adesso si sta adeguando a una nuova condizione, 14 presenze e 14 spezzoni. Con il Genoa, quattro ore dopo Lasagna, El Kaddouri s'è piazzato dove voleva Sarri, usando le briciole che aveva per fare la partita perfetta: un gol con il solo pallone toccato nella serata, non uno prima, non uno dopo. Contro la Lazio, a novembre, il milanista Mexès aveva segnato 68 secondi dopo essere entrato in campo: era il primo pallone del suo campionato. Perciò aspetta la tua occasione, ragazzo che ora stai fuori e vorresti chiedere al tuo procuratore di cercarti un'altra squadra, dove giocare di più, dove giocare dall'inizio. Preparati, le cose succedono. Chi lo stabilisce qual è davvero l'inizio di una storia?
(uscito su Repubblica, 22 marzo 2016)
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