mercoledì 16 marzo 2016

Il prototipo Florenzi


Se la rovesciata contro il Genoa poteva essere un caso e il colpo da metà campo al Barcellona solo un indizio, il gol di controbalzo all’Udinese dopo un dribbling volante si presenta come una prova definitiva e inconfutabile. C’è qualità nel corpo ossuto di Florenzi, figurina da sottoproletariato del pallone che nasconde invece intuizioni da scienziato. È una macchina con un motore da 600 chilometri l’anno: ogni tanto la Roma apre il cofano e scopre che dentro c’è pure un regalo.
Il gol prodigioso fa parte della mercanzia di Florenzi alla pari di una corsa senza fiato sulla fascia, peraltro la stessa dove un tempo esercitava Cafu col suo sorriso. Come Sergi Roberto al Barça o come Lahm al Bayern, Florenzi gioca (quasi) ovunque. È terzino, mediano, mezzala destra, ala destra e ala sinistra (tre volte: con Leverkusen, Verona e Palermo), unica posizione questa da cui non ha fatto gol. Corre, crossa, tira, vede il gioco, sa quando tagliare. Gli manca il tackle: ce ne faremo una ragione.
udiflosamaI jolly sono sempre esistiti, ma i Florenzi (e i Sergi Roberto) sono altro. Sono il simbolo di questo calcio così evoluto, o comunque molto cambiato, dove alle ali già da tempo istruite a fare i terzini, si sono aggiunti portieri che giocano con i piedi e difensori centrali che toccano cumuli di palloni, nell’età classica riservati solo ai registi. Florenzi rappresenta sia questo “spirito dei tempi” sia l’annuncio di uno sviluppo successivo, di quel che possiamo aspettarci in futuro: giocatori che sappiano forzare i modelli, portando il calcio oltre gli schemi noti. La fine della specializzazione: quel territorio in cui il tuo punto di forza diventa il tuo limite. Il rischio è sembrare ovunque fuori ruolo, il vantaggio è non esserlo mai, nemmeno quando si sbaglia a scalare in marcatura o a chiudere una diagonale, perché questa anomalia produrrà un vantaggio nell’altra metà del campo. Quale sia il ruolo naturale di Florenzi, adesso non lo sa più nessuno.
Accade già in altri sport di squadra. Nell’anno in cui Stephen Curry «sta cambiando la percezione del suo sport» (New York Times) con i tiri da metà campo, con pochi muscoli e appena 191 centimetri d’altezza, portando il gioco oltre una frontiera e un pregiudizio, il basket si sforza di cercare sempre più spesso l’universale, chi sappia muoversi “dentro” e “fuori” l’area, un lungo che giochi sul perimetro, o la forza fisica da convertire in regia. La pallanuoto ha scoperto l’anomalia di Bodegas, italo-francese che gioca - semplificando - da centravanti e stopper, nella stessa partita e spesso nella stessa azione. Sparigliare significa eludere il controllo. Nella pallanuoto è già caduta l'indispensabilità di un giocatore mancino, quel giocatore che in attacco si piazza all'estrema destra, come da un po’ di tempo fa pure il calcio con le ali, in modo che l’arto migliore possa chiudere il tiro in porta. Il Recco senza un mancino ha vinto il suo ultimo campionato. L’Italia senza un mancino è andata ai Mondiali (forse pentendosene, va detto). Grecia e Montenegro giocano ormai regolarmente senza mancini con ottimi risultati. Paolo De Crescenzo, 66 anni, è stato commissario tecnico della Nazionale italiana di pallanuoto vice campione del mondo nel 2003, oltre che guida di un Posillipo capace di vincere 9 scudetti, 2 Coppe dei Campioni e 2 Coppe delle Coppe fra il 1985 e il 2002. Spiega: “La pallanuoto è fra gli sport che impongono un tempo entro il quale terminare un’azione d’attacco. Dunque in una frazione di gioco hai la certezza di avere più o meno quel determinato numero di situazioni d’attacco e altrettante in difesa. L’universalità è un’esigenza. Se oggi un attaccante mancino non porta il suo contributo in altre situazioni, la sua squadra farà fatica ad assorbirlo nel proprio corpo. L’intuizione di una pallanuoto a tutto campo fu già di Fritz Dennerlein, negli anni ’70. Figuriamoci oggi. La difesa a zona nella pallanuoto spinge per esempio ogni giocatore a essere un portiere prima del portiere.  Oggi un giocatore alla Bodegas è prezioso. Consente alla sua squadra soluzioni tattiche aggiunte, come giocare con il doppio centroboa. Così come molto moderno è Ivovic, che costruisce, tira, gioca ai due metri".
Stefano Vanoncini, 52 anni, è uno dei più preparati coach di basket, oltre che studioso maniaco dei dettagli e delle sfumature del gioco (non solo il suo). Lavora come vice allenatore a Varese. Dice: “Esiste di certo una tendenza a sparigliare: un “lungo” sul perimetro vede meglio i passaggi, un “piccolo” che lo affronta lo pianta sul posto con uno scatto”. Nel basket questi si chiamano mismatch, non sono un inedito, ma oggi la loro ricerca è radicale. Le palestre sono officine in cui i tecnici creano giocatori in grado di fare solo quello: imparare a fare tutto. “Il basket può permetterselo più di altri sport perché si gioca in cinque. Più giocatori sono presenti in campo, più la specializzazione si radicalizza. Il basket invece sta cercando la poliedricità. La poliedricità dà grandi vantaggi. Tutti i grandi giocatori diventano grandissimi quando tendono all’universalità. Lebron nasce come giocatore dalla grande forza fisica, ora è quasi un play. Magic Johnson è stato il prototipo del play da due metri e cinque”. Gallinari è l’italiano che più viaggia verso quella direzione. Spiega Vanoncini: “Genetica, alimentazione, qualità negli allenamenti, preparazione dei tecnici, uso delle immagini nell'insegnamento: tutto sta contribuendo alla creazione e alla crescita di un cestista nuovo. Lo specialista resta importante se la sua squadra ha un’eccellente organizzazione di gioco. Altrimenti, tolta la sua specialità, cos’altro saprà fare? Faccio un esempio. Quanti giocatori dalla grande tecnica sono presenti nei tornei minori? Tantissimi. Ma in serie A non arrivano, perché la loro specializzazione (la tecnica) non basta. Eppure, il campo è lungo uguale, il pallone è uguale. La differenza è nella rapidità delle decisioni, nella lettura del gioco, nella capacità atletica”.
Florenzi è il calciatore che sta portando il campionato italiano in questa modernità, dove 100 milioni di euro si spendono per Bale, un terzino, poi ala, trequartista e finto centrattacco.

(versione rieditata per il blog di un articolo uscito il 15 marzo su Repubblica)

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