Un negozio di fuochi d'artificio in South Carolina |
Piove anche
mentre attraverso la contea di Palm Bay. L’uscita per Melbourne promette food
and gas. C’è una donna a un tavolo che ha come preso in ostaggio un’altra
signora, pure lei bloccata dall’acquazzone. Le parla senza darle il tempo di
far suo il sandwich appena comprato. Dice che il marito a casa non c’è mai,
lavora lavora, sempre lavora, certe volte esce anche nel fine settimana.
Melbourne fa circa 80mila abitanti, la disoccupazione è al 4 percento. Il
grosso è impiegato nel comparto hi-tech fiorito intorno alle tante compagnie che
operano nel settore della sicurezza e della difesa. Viveva a Melbourne negli
anni ’40 l’uomo che sarebbe diventato il contrammiraglio George Stephen
Morrison, venti anni più tardi alla guida della flotta nel golfo del Tonchino,
quando uno scontro fra quattro
torpedinieri vietnamiti e lo Uss Maddox, americano, diventò per il
presidente Johnson l’occasione per attaccare il Vietnam del nord. La donna racconta
che lei però da tempo s’è insospettita. L’altra, col panino a mezz’aria, adesso
è un po’ rassegnata e un po’ incuriosita. Dice che ha fatto seguire il marito e
ha scoperto quello che cercava ma che forse non avrebbe voluto mai sapere. “Ha
una storia con la sua segretaria, il porco: ecco qual è questo lavoro, lavoro, lavoro”.
Nel ’43 George Stephen Morrison prendeva lezioni di volo alla Naval Air Station
Pensacola. Un paio di settimane prima di Natale, sua moglie Clara partorì il
loro primo bambino, James Douglas, che a dire il vero un po’ tutti nel mondo
avremmo preso a chiamare Jim. Jim Morrison. Quel Jim Morrison.
Oltre il Mc
Donald’s e Subway, sette miglia più a sud, verso l’Indian River c’è la casa in
cui è nato Jim. 1250 South Harbor City Boulevard. Un edificio chiaro, basso,
ovale, il prato alto tutt’intorno. La ragazza che serve i panini racconta che è
ancora un andare e venire, gente che si ferma a Melbourne per questa specie di
pellegrinaggio laico e musicale, ma la prima vera casa di Jim in realtà è un’altra, 2100 Vernon
Place, mi confida, e pochi lo sanno, pochi ci vanno. Non andarci neanche tu, aggiunge, non
c’è niente da vedere, è un cantiere con degli operai, pare che vogliano farci un
pub. E poi Jim qui c’è stato poco, pochissimo, con il papà lontano la madre lo
portò presto dai nonni, a Clearwater, sul golfo del Messico, dove avevano
una lavanderia. Cosa ci stavano a fare a
Melbourne?
Faccio come dice. Non ci vado. L’ultimo
tratto vivace di Florida, due ore e mezzo più tardi, è alle porte di Jacksonville.
Per un motivo misterioso, nella fettina di Interstate 95 North ai bordi della città
le macchine sfrecciano senza darsi vincoli. Il traffico si sfrangia. Un
milione di abitanti. Più o meno Napoli. La prima volta che ho sentito nominare
Jacksonville fu per via di Bob Hayes. Bob Hayes era l’uomo più veloce del mondo
quando sono nato. Da bambino, verso i miei nove dieci anni, mi piaceva andare a
vedere cosa fosse accaduto nello sport nel mio anno, il 1966. E Bob Hayes nel ’66
aveva il record mondiale dei 100 metri. Nato a Jacksonville, imparai. Ho imparato
la geografia più o meno in questo modo. E’
l’unico sportivo ad aver vinto una medaglia d’oro alle Olimpiadi e ad aver
vinto pure un campionato di football americano, il famoso Superbowl. E’ diventato
grande quando essere afroamericano a Jacksonville dava qualche problema. Jacksonville
è un posto a cui il progresso ha tolto la sua età dell’oro. Verso la fine dell’Ottocento
era l’area turistica che attraeva i ricchi d’America. Quando la ferrovia si
spinse oltre, fino a Palm Beach e poi a Miami, diventò una fermata
dove al massimo scendevi a prenderti una gazzosa. Così fece anche il cinema,
che nel giro di qualche decennio voltò le spalle a quella che era stata brevemente
Hollywood prima di Hollywood.
La notte di Savannah, Georgia |
Oggi a Jacksonville
resta il primato della più grande festa americana di fuochi d’artificio del 4
luglio. L’ho scoperto più in là, attraversando la South Carolina. Scavalcata la
Georgia e Savannah (ottima cobb salad con pollo a River House, 125 West
River Street), poco oltre il confine statale, lungo i bordi della strada prospera
una serie interminabile di negozi di fuochi artificiali. Tanto da chiedersi
perché. Perché la South Carolina è uno degli Stati che ne consente la vendita di
fatto senza restrizioni. Altrove non è così. Più a nord il Delaware, il
Massachusetts e il New Jersey sono i tre stati che vietano del tutto
sia l’uso dei botti sia il loro acquisto. La Virginia, come la Florida e altri
14 stati, consentono la vendita solo dei fuochi chiamati “safe and sane”. Bengala,
fontane, lucine. Tutto ciò che non esplode. I divieti sono legati anche ai
periodi dell’anno e alle stagioni. Il consumo è limitato a 500 grammi di
materiale, di cui non più di 50 milligrammi di polvere da sparo. C’è un limite pure
per il diametro. Altrimenti serve una licenza. Ma è una consuetudine attraversare
il confine degli stati, a volte solo di una contea, per comprare un fuoco che
in casa propria è stato dichiarato fuorilegge. In South Carolina lo sanno. I
commercianti si sono piazzati in massa lungo i confini. Ho scoperto che nel West
la stessa funzione viene svolta da alcune delle tribù di nativi americani,
esenti dalle leggi locali: vendono fuochi d’artificio.
Negozio di fuochi artificiali in South Carolina |
Mi viene in
mente E.L. Doctorow, morto proprio qualche giorno prima del mio viaggio. Nel suo
romanzo “Ragtime” c’era una famiglia che vendeva bandiere e fuochi artificiali,
da lì poi si partiva per una riflessione sul rapporto fra il patriottismo e l’istinto
di fare la guerra (in Italia invece un anno fa mi incantò “Vinicio Sparafuoco
detto Toccacielo”, di Vincenzo Gambardella, la storia di un prete e del suo
chierichetto che girano le feste di paese con i loro spettacoli di polvere). I
fuochi, di questo rapporto, sono un riflesso un miniatura. Raccontano una volta di più che questo paese non dovremmo semplificarlo al singolare, di America non ce n’è
una sola. “Out of many, one” come dicono loro di sé e
com’è scritto sullo stemma della nazione. “E pluribus unum”. Vale per i fuochi, per le armi,
per la pena di morte, per la segregazione razziale. Sto arrivando a sud, e si
sente.
(2.
continua)
La prima parte: Il gps e le strade blu d'America
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