Insomma. Alla fine si cade sempre in
tentazione, con tutta questa saldezza nel ritenere che di un posto in settantadue ore
si sia compreso molto, quando non tutto. Viaggiamo tra gli effetti con la
pretesa di coglierne le cause. Mentre raccontare dovrebbe essere il contrario di
capire. Il cammino non è un lavoro
per interpreti. Perdersi, deviare, cercare, stupirsi. Questo è. Anche se nessuno vuole perdersi più. Prendiamo le strade americane.
Trentatré anni fa il professor William Trogdon, in piena crisi personale, si
convertì al nativismo, lo chiamo così per semplificare, e prese il nome di Heat Least Moon. Scrisse dall'America quello che diremmo un reportage. Un libro magnifico: Le strade blu (Einaudi)
era il diario di una ricerca. Di un'America diversa. Di se stesso. Di un senso.
Le strade blu erano all'epoca le vie secondarie della provincia americana, la rotta
della marginalità, i luoghi di incontri che erano a loro volta una mappa, facce
che diventavano topografia.
"Adesso i colori sono cambiati",
scriveva Least Moon, "ma subito prima dell'alba e subito dopo il tramonto -
brevi istanti né giorno né notte - le vecchie strade restituiscono al cielo un poco
del suo colore, assumendo a loro volta un'arcana tonalità blu. È l'ora in cui le
strade blu hanno un fascino intenso, e sono aperte, invitanti, enigmatiche: uno
spazio dove l'uomo può perdersi".
Oggi i colori ingannano. Oggi sono diventate blu anche le highway,
le autostrade interstatali americane, a guardarle dagli schermi dei nostri smartphone
e dei nostri tablet, una volta che le esploriamo con gps, wifi e navigatore. Uno procede lungo la rotta suggerita e la
via sotto gli occhi si colora di cobalto. È la conferma che non ti stai
perdendo, se è davvero quello che volevi. Meno letterario, più confortante. Eppure finanche le nuove strade segnate di blu da Google Maps possono imporre divagazioni. Per esempio. Lungo le highways d'America ti devi accontentare del concetto di rest area, in
media ce n'è una ogni cinquanta sessanta miglia. Non è l'equivalente esatto di un
nostro autogrill. Per fare benzina bere o mangiare si deve lasciare la rotta, uscire a uno svincolo, in città, in paese, da qualche parte, si deve divergere e slittare.
Josh avrà poco sotto i sessant'anni. Fa il
camionista. Ha una di quelle facce americane che resteranno adolescenti finché
non saranno diventate vecchie (questa è di Hemingway). Sta rifornendo una pump
station appena fuori Miami. Un minuto e arrivo, dice quando lo chiamo per
chiedergli aiuto. Mette gli occhi dentro il motore della mia Dodge Avenger
rossa, la macchina è quella della foto, e sentenzia che non esiste alcun olio da cambiare, come al contrario suggeriva
la spia dei comandi elettronici. "Quale compagnia te l'ha noleggiata"
mi domanda. "Alamo" gli dico. "Fanno tutti così. E' un loro
giochino. Non è possibile che tu debba cambiargli l'olio dopo 48 ore. Gli devi
telefonare. Oppure mandagli una mail. Scrivigli che all'arrivo non li pagherai,
così un giorno imparano. Ma l'olio è ok, guy, tranquillo. Dove stai
andando?".
Vado a New York. Mi lascio alle spalle
Miami-Orlando-Cape Canaveral, che in Florida è una specie di triangolo delle
Bermuda per le carte di credito. Sul serio. Vengono risucchiate laggiù. Sprofondano. La cosa bella della Interstate
95 North è che tutti guidano sereni fra le 60 e le 75 miglia orarie. La cosa terribile della Interstate 95 North è che guidano sereni fra le 60 e le 75 miglia orarie anche sotto acquazzoni tropicali. Sono abituati. Loro. Non esiste un solo tratto di asfalto drenante. Adesso c'è un muro di grigio
e d'acqua sotto il tergicristalli, esangue è il cielo anche oltre il tiro dello sguardo, e i camion come i van sollevano con le loro ruote posteriori questo vapore
disonesto davanti al parabrezza. Tre righe per dire che non si vede
niente. In Florida sta arrivando la stagione delle grandi piogge. Verso Cape
Canaveral pago quattro volte il pedaggio: intorno al dollaro ogni volta. I camion passati di qua per mesi e mesi hanno lasciato i loro pneumatici squarciati lungo la strada, è una catena di piccoli cadaveri di gomma, moncherini, carcasse incoerenti con tutta l'organizzazione federale che si occupa della
sicurezza sulla strada: i limiti di velocità, i cartelloni in serie ("you drive, you drink, you lose"; ma il mio preferito è "don't
drive on shoulders"), le corsie dedicate a chi non deve lasciare l'autostrada per un bel
po' di miglia, oppure quelle d'emergenza che vengono aperte al traffico in caso
di congestione. Il diluvio non si placherà prima dell'arrivo del buio. Non ci
sono piazzole dove accostare. Forse è il segno che ora davvero le strade sono tutte blu, anche le highways ti fanno divergere e differire. Io differisco uscendo a Port St. Lucie, dove altrimenti
non sarei mai arrivato. Accosto davanti a una serie di casette basse che danno
su uno specchio d'acqua. Non saprei dire se sia uno scenario da benestanti o il
ricciolo residuo di un posto che un tempo era un ranch. Comunque sia, per venti
minuti questo sarà un signor riparo. O la fine del mondo.
(continua)
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