La parola inglese è disrepute. Più o meno sarebbe: discredito. Cattiva reputazione. Ian Holloway, onesto centrocampista ai suoi tempi, tutto serie B e serie C, quattro anni in Premier con il Qpr e oggi allenatore del Millwall, l’ha usata per avvertire il suo mondo. Così non si va avanti. Andiamoci piano con certi cori negli stadi, ha detto, gettano cattiva luce sul calcio.
Piano con i cori disrespectful, dice Holloway, con i cori che mancano di rispetto. Basta. Non se ne può più. Le cose sono andate così. Durante la partita che sabato il Millwall ha vinto per 2-0 contro il Leeds, prima giornata di serie B inglese, i tifosi, i suoi tifosi, hanno cominciato a cantare cori che legavano il nome del Leeds a quello di Jimmy Savile, popolarissimo conduttore della Bbc, protagonista di una storiaccia.
Morto due anni fa, rincorso già in vita da voci su pedofilia e violenza sessuale, a giugno scorso il suo nome finisce in un rapporto del governo presentato in Parlamento su uno scandalo avvenuto in una serie di ospedali dove Savile svolgeva volontariato. Abusi sessuali su ammalati, persone fra i 5 e i 75 anni, in alcuni casi su cadaveri. Essendo Savile di Leeds, gli ultrà del Millwall hanno pensato bene di mettere in piedi un teatrino di cori che possiamo immaginare.
Fin qui sembra un pezzo d’Italia che vive anche altrove. Il classico mondo che in fondo è paese. Invece no. A Millwall, sud-est di Londra, entra in scena Ian Holloway, il quale non tradisce alcun imbarazzo nel parlare chiaro ai tifosi che allo stadio portano i suoi colori, peraltro descritti fra i più duri d'Inghilterra. Dice allora che quei cori sono irrispettosi per troppe persone. “E’ uno sfottò, mi risponderanno. Non è divertente, va bene? Non c’è nessuno che più di me ami farsi due risate, ma prima viene il rispetto. Il Leeds è un grande club, sono venuti qui tanti tifosi e hanno tutto il diritto di essere trattati come chiunque altro. Se io potessi, ora andrei a prendermi una birra con uno o due di loro”. A questo punto l'idea che in fondo sia un po' come in Italia, ecco, a questo punto già sfuma.
Gli sfottò. Testuale. Holloway dice: a bit of banter. Pure i nostri stadi ne sono pieni. Sono pieni di cori che mettono i morti al centro della scena: Superga, l’Heysel, il colera, il Vesuvio, Lucio Dalla. Poi abbiamo gli insulti ai romani, Milano in fiamme, e si può continuare quasi all’infinito. Ma per noi questa roba qua è esattamente ciò che Holloway respinge. Offese al ribasso. Sono sfottò. “Ci sono sempre stati”. “Sono vecchi di vent’anni”. Quante volte l’abbiamo sentito nei mesi scorsi? E’ stata la tesi di Adriano Galliani, Giuseppe Marotta, Massimiliano Allegri, Paolo Maldini, Aurelio De Laurentiis, perfino di Fabio Caressa. Nessuno che abbia avuto la forza di Holloway, la forza di dire agli ultrà di farla finita, nessuno che abbia il buon senso, non è coraggio, di chiamare quei cori per quello che sono. Irrispettosi. Fuori luogo. "Gli stadi non sono un salotto", in genere è l'obiezione che viene dopo. Infatti. Teneteveli vuoti. Salvo scoprire che nel tempo tra gli sfottò si incrosta una cosa più seria che si chiama odio.
Holloway non è un santo. Lui stesso dice di non ricordare le volte in cui è stato multato dalla federazione. Holloway parla di rispetto perché nella lista delle priorità, prima del Millwall, mette un bene comune. Il calcio. La vita negli stadi. Oppure gli interessi di un ambiente, se vogliamo essere brutali, se vogliamo parlare il linguaggio di chi alla fine dentro ci sta solo in nome del business. “I cori vanno contro ciò che penso sia il calcio, li trovo osceni. Gettano discredito sul calcio”. Sul calcio, dice Holloway. Su tutti. Perché in Inghilterra ciascuno è solo una parte del gioco. Si sta insieme, tutto si divide, proventi e ignominia. “Quante volte dobbiamo ancora tenere gli occhi chiusi? Entrare allo stadio non dà il diritto di cantare certe cose. Il nostro paese ha bisogno di qualcosa di meglio. Io sono orgoglioso del mio club ma ai tifosi lo devo dire: pensate di essere nel giusto? I tifosi di calcio pensano di potersi comportare così dovunque?”. Ian Holloway. Questo è il suo nome.
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