Sono passati dodici anni. Dodici anni dal giorno in cui la macchina si ferma al semaforo, il bambino getta lo sguardo fuori dal finestrino, assorto, poi domanda Papà perché siamo tifosi dell'Atlético? E il papà muto, gli occhi che ruotano verso il sedile posteriore, un mezzo sorriso accennato. "Non è facile da spiegare, però è qualcosa di grande, molto grande", risponde al suo posto una frase scritta sullo schermo, prima che appaia lo scudo di Madrid, dell’Atlético Madrid.
Era lo spot con cui il club presentava la sua campagna abbonamenti. L’Atlético si immalinconiva in serie B, il Real era il Real. Ci voleva una certa personalità a stare dalla parte dei colchoneros, come vengono chiamati quelli dell’Atlético, da quando le loro maglie a strisce bianche e rosse furono confezionate con le stesse stoffe dei materassi. Ci voleva ieri come oggi, mettetevi nei panni di un bambino. Sono passati dodici anni, il chico dello spot è cresciuto, nel frattempo la squadra sua e di suo padre è tornata in Primera Divisiòn, ha puntato sull’Europa considerata l’impossibilità di spezzare il duopolio Barça-Real e ha vinto due volte l’ex Coppa Uefa, più due Supercoppe. Poi, nella primavera scorsa ha pure battuto il Real in finale di Coppa del re. Ma una vittoria in un derby di campionato manca dal 1999, sabato sera passa una nuova occasione: il Real è circondato da nuove antipatie e vecchie polemiche per il rigore regalatogli ad Elche, l'Atlético è in testa a punteggio pieno. Mille novecento novantanove. Da allora l’Atlético ha avuto campioni come Torres, Aguero, Falcao e li ha venduti tutti. Ha continuato a spargere il seme dell’affezione per i colori dei materassai, in città e nel mondo, con la forza dei suoi spot. Enfatici, ironici, commoventi. Due soldati nemici che nel pieno della Guerra Civil scoprono di fare il tifo per la stessa squadra. Un immigrato che descrive in una lettera al padre lontano il suo amore. Un bambino che fa tornare sulla sabbia con la forza della fede un pallone disperso in mare. Un militare in Kosovo. Un uomo che prova a deporre la sciarpa della squadra sulla tomba di suo padre, confessando la propria impotenza nel trasmettere alle generazioni future la passione per l’Atlético, ma alla fine costretto a fare retromarcia da un segno sovrannaturale. Se non vince sul campo, l’Atlético stravince fuori. Ángel Torres, uno dei creativi che si è occupato delle campagne promozionali, dice che nel suo ambiente sono due i marchi per i quali lavorare è un onore. La Coca Cola e l’Atlético Madrid. Sono passati dodici anni. Ci sono meno bambini che al semaforo fanno ai loro padri quella vecchia domanda. La risposta rimane comunque la stessa. Oggi come ieri. Anche se l’Atlético perdesse ancora al Bernabeu.
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