giovedì 10 marzo 2011

LUnità d'Italia secondo Pippo

Il barman dell’unità d’Italia. “Che cocktail di storie e di passioni, quegli anni. Il romanzo più bello che si possa scrivere. Io dovrò solo prendere tutta la materia e shakerare”. Bianco, rosso e Pippo Baudo, il Risorgimento arriva in prima serata Rai. La storia e l’intrattenimento, la formula che più gli sta a cuore, già frequentata in passato con Giorno dopo giorno, Novecento, I migliori anni. Spettacolo e riflessione insieme, “un’impresa, una difficoltà pazzesca” come dice lui, ora che è al cinquantaduesimo anno di televisione e che in televisione vede sempre più spesso passare “soltanto un divertimento lepido ed epidermico, mai di sostanza”. Una sfida alta, altissima, improvvisamente avvolta d’aria nuova dopo il Benigni passato a Sanremo a cavallo dell’inno di Mameli. “Una cosa inattesa. Come se improvvisamente gli italiani, sbandati e senza più punti di riferimento, si stessero ritrovando intorno al valore del tricolore, ma non come valore formale. Questo è un Paese che si sta spezzettando, bisogna impedirlo. L’unità d’Italia come concetto è antecedente alla sua realizzazione, non è del 1861, ma era già nella mente di Dante Alighieri, di Petrarca, di Foscolo. Che poi fosse politicamente divisa in Stati e staterelli, non conta. Era una situazione contingente”.
Sarà una festa televisiva, anzi di più, “una presa di coscienza”. Baudo sta praticamente invitando tutta la sua agenda al programma (con Bruno Vespa) che dovrà celebrare i 150 anni della nazione. “Mi piacerebbe avere i grandi del nostro spettacolo e della nostra cultura. Tutti. Ne verranno tanti. Un posto speciale l’avrà la musica, che è stato un elemento forte di unione per il Paese. Ha tenuto unita la nostra storia, e sto pensando alla grande tradizione classica napoletana, a perle come ‘O sole mio”. E qui il terreno già si fa abbastanza sdrucciolevole, se solo un anno fa il ministro leghista Zaia chiedeva la par condicio dei dialetti sul palco di Sanremo, prima che alcuni consiglieri comunali veneziani lanciassero una fatwa alla polenta contro l’uso delle canzoni napoletane in favore dei turisti a bordo delle gondole. E’ un’insidia che Baudo conosce bene. Sospira: “Questa storia è assurda. I gondolieri sono italiani. E’ da sempre che cantano ‘O sole mio. Sarebbe più romantico fargli cantare Ninetta monta in gondola? Forse, non lo so, di certo sono i turisti stranieri a chiedere di poter ascoltare canzoni napoletane, che evidentemente riconoscono come patrimonio dell’Italia intera. La prima melodia che in Italia prende forma di canzone è il canto delle lavandaie, siamo nel ‘200 e succede a Napoli. Insomma, finiamola”.

Ma se il ventennio fascista ha lasciato a lungo in eredità la tentazione di giudicare ogni manifestazione di amor patrio come di destra, ora il ventennio leghista di amor patrio sparla senza veli. Fino alle polemiche feroci e alle ostilità palesi sulle celebrazioni per l’unità d’Italia. “La Lega – dice Baudo - ha percepito uno stato di individualismo esasperato presente negli italiani, quello che negli anni Ottanta avremmo chiamato edonismo reaganiano. Così ritiene di parlare per nome e per conto di quel cittadino che ha smesso di ritenersi tale, per diventare portatore di soli interessi personali. Tutto ciò che ostacola questo esercizio, viene ripudiato. Invece il diritto personale va collegato all'interesse collettivo, e l’idea del collettivo all'idea di nazione”. Ma finiamola pure col leghismo al contrario, dice il siciliano Baudo. “Ma sì, il secessionismo del sud è un’autentica fesseria. Non esiste. Penso a una figura come quella di E. A. Mario. Era un impiegato delle poste, mica un letterato. Sapeva suonare solo il mandolino. Ma fu con quel mandolino che lui, napoletano, nel 1918 compose Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio…”. La leggenda del Piave, canzone che tre anni fa proprio Bossi arrivò a proporre come inno d’Italia. “Poi cosa succede? Sbarcano gli americani nel sud Italia e lo stesso E. A. Mario compone Tammurriata Nera. Credo che basti, no? E’ questo il sentimento di cui parlo e di cui parleremo nel programma”.

L’unità d’Italia raccontata attraverso la musica, ma non solo. Il cinema. “I poveri barboni che in Miracolo a Milano di De Sica e Zavattini volano a bordo delle scope verso un Paese tanto immaginato e tanto desiderato, be’, quella è un’immagine poetica che fa al caso nostro. E non solo nostro, tanto che Spielberg ce l’ha copiata per il suo E.T.”. E poi la lingua, la riscoperta di quell’'italiano che la Rai del dopoguerra contribuì a creare e diffondere. Una fatica che, dice Baudo, la televisione non fa più. “E’ un ruolo che la Rai ha perso. Peccato. Ma deve riprenderselo. Capisco che la modernizzazione ci imponga di essere mondiali, però stiamo dimenticando l’italiano. Qualche sera fa ho visto il professor Sermonti che al cospetto del presidente Napolitano citava l’inizio della Divina Commedia. Un incanto. Così com'è una meraviglia il nostro dizionario dei sinonimi. Abbiamo mille parole per un concetto, eppure adoperiamo una lingua scarna, essenziale, ne parliamo una che al massimo va bene per gli sms. Invece parlar bene non ha mai fatto male a nessuno”. Un parlar bene che non passa più dal telecomando. “Eh no. Sento coniugazioni di verbi improbabili. Il congiuntivo è diventato un’impresa”. Baudo ride: “Con linguaggio ferroviario, Ennio Flaiano avvertiva che era pericoloso sporgersi dalla frase”. Oggi ci si sporge, e come. “Certo, la tv non è la sola colpevole. Esistono anche responsabilità scolastiche. I professori leggono poco. Si va diffondendo una lingua gergale. Il grande Salvo Randone un giorno mi avvertì: devi pensare in dialetto e parlare in italiano”.

Share, audience e la battaglia di Calatafimi. Si può? Baudo è sicuro di sì. “Nessuno s’aspetti un programma cronologico. Le date le imponevano a scuola a quelli della mia generazione. Ne sbagliavi una, e ti beccavi la nota rossa. Procederò per sensazioni. Per personaggi”. Uno su tutti? “Garibaldi. Figura immensa che viaggia sopra le parti, piena anche di contraddizioni, si capisce, ma con un ideale che lo faceva volare altissimo. Invidiato e non temuto, perché era grande. Un trascinatore, un uomo pulito. L’onestà è un concetto che oggi stiamo perdendo. Lui non prese un soldo, mai una commenda. Comprò un pezzetto di terra e si rinchiuse lì. Quando Abramo Lincoln lo chiama per dargli l’incarico di guidare la guerra di secessione, lui dice no. La sua fama aveva varcato l’oceano, noi invece lo abbiamo ridotto a eroe locale, qualche volta esecrato, o addirittura sfruttato politicamente, come alle elezioni del ’48”. Il Risorgimento in prima serata Rai non sarà però un santino. “Le nuove generazioni hanno radici fragili. Ma nel futuro c’è molto del nostro passato. Io non voglio tacere ai giovani le incongruenze o gli eccidi che ci sono stati. Non voglio tacere le verità. Nel 1861 si è realizzato un sogno, ogni sogno prevede un sacrificio, come si vede in questi giorni lungo le coste di fronte alle nostre. Ecco, quelle sono scene che devono spingerci a spaccarsi di meno, a essere più forti, più uniti e più italiani proprio adesso”.

(Il Venerdì, 4 marzo 2011)

Nessun commento: