domenica 4 febbraio 2007

L'ultimo segretario del pci

Sedici anni oggi. Pure allora c'erano un Sì, un No e una Terza mozione. «Stavolta mi pare tutto più flebile». Sedici anni oggi, e riecco il dibattito. I Ds tormentano i loro passi verso il partito democratico; il 3 febbraio del '91 il congresso di Rimini chiude invece la storia del Pci. Il segretario provinciale napoletano, quel giorno, si chiama Ricciotti Antinolfi. Economista, assessore comunale, un occhettiano convinto. «Mi chiama Valenzi mentre sono all'università per degli esami, e mi dice che stanno per nominarmi segretario». L'ultimo. L'uomo che in città trasloca falce e martello sotto la Quercia. «Iscritto 22 anni al Pci, altri 8 a Pds e Ds. L'ultima tessera è del '99». Adesso osserva da lontano, dallo studio della sua casa ai Colli Aminei. Immerso fra i romanzi di Vassalli, i concerti di Bach e i clic di Internet. «Penso al Partito democratico, e mi chiedo perché i bilanci della Regione non siano on line».
Professor Antinolfi, perché unisce le due cose?
«Se sei un riformista, devi mettere i conti pubblici sul web».


Dunque lei dice: se Bassolino non lo fa...
«Se Bassolino è uno dei principali artefici del Partito democratico, come leggo in questi giorni, allora i conti non mi tornano».
Cos'è che non la convince?
«Il Pd è presentato come la casa dei riformisti. Ma Bassolino ha reso immobile la città di Napoli e la Campania, nel senso della più pura conservazione. E' un padrone assoluto della tattica politica: dove sono i suoi contenuti riformatori?».
Però è tra i più convinti nell'adesione.
«Aderisce a tutto. Un conto è aderire, un conto è praticare. Aderisce anche al referendum elettorale, eppure ha gestito la formazione delle liste in senso fidelistico e familistico».
Professore, com'era a Napoli il Pci che si scioglieva?
«In preda a una guerra interna. Nella sezione di Marano si erano infiltrate persone poco rispettabili. A Sorrento qualcosa del genere. Nelle intenzioni iniziali, dovevo essere un segretario di garanzia per l'opposizione interna».
Invece?
«Quando nacque il Pds, D'Alema disse che avrei dovuto lasciare. Faceva fuori tutti i segretari occhettiani. Alle spalle di Occhetto. Il segretario fu Vozza. Veniva dalla mozione del No. Come se Mussi diventasse il leader del Partito democratico».
Il Pci si scioglieva nei giorni del progetto "Neonapoli" di Pomicino. Oggi i Ds devono discutere e governare. Come si fa?
«Cedendo quote di potere ai dissenzienti in termini di cariche e di consulenze».
Possibile che tra i Ds sia tutto da rifare?
«Mi piace Bersani, e D'Alema è ancora un uomo chiave».
E tra i Ds a Napoli?
«Mi pare che non esistano personalità degne di questo incarico, Bassolino non ne ha formate. Manca un ceto nuovo. Ma posso anche sbagliarmi, magari sono io che conosco poco le persone».
Dopo trent'anni di militanza fra Pci e Pds, ora che il Pd guarda alla società civile, prenderebbe la trentunesima tessera?
«Anche 16 anni fa si guardava alla società civile. Io ne facevo parte. Io venivo da lì. Ma sono stato isolato per lo stesso motivo. Quando mi elessero in Direzione subii pressioni umilianti per rinunciare, e dovetti tornare a Napoli con un passaggio in auto preso da Vittorio Silvestrini».

Repubblica Napoli, 3 febbraio 2007

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