NON chiedetegli di nascondersi. «Se c'è uno che so di battere sicuramente, lo dico. Se c'è uno più forte di me, lo ammetto. Ma uno più forte di me non c'è». Luigi Tarantino si sentiva il più bravo di tutti già prima di diventare campione del mondo, nell'estate del '98 a Chaux de Fonds, Svizzera, nel pomeriggio d'oro della sciabola napoletana, quello del derby in finale contro l'amico Raffaello Caserta. Sei anni dopo, continua a sentirsi in cima al mondo. «Semmai c'è qualche avversario con delle caratteristiche tecniche che mi fanno soffrire. Parlo di un paio di russi e un paio di ungheresi, e basta». Eppure, a uno così, a uno che non sa cosa sia l'insicurezza, scopri che la Nazionale di scherma ha dato uno psicologo. «Con lui sto lavorando sui dettagli, per esempio su come scaricare la tensione. Facciamo musicoterapia. Vediamo se serve. Di certo non trasforma i brocchi in fenomeni. Sentivo di un tennista francese, un certo Benneteau, a cui lo psicologo aveva consigliato di tenere dei sassolini bianchi in una tasca e dei sassolini neri in un'altra. Ogni volta che vince un punto, sposta una pietrina bianca fra le scure. Così aumenta la fiducia in se stesso. è un sistema con cui sta migliorando, però - guarda caso - un trucchetto del genere ad Agassi non serve». E lui ovviamente si sente un Agassi, non un Benneteau.
Ma allora lo psicologo? «Colpa delle Olimpiadi. Mi fanno diventare un altro. In genere non soffro la pressione, non mi emoziono, non mi prende la tremarella. Ai Giochi sì. Succede. Sarà l'idea che arrivano ogni 4 anni, e che rischi di mandare all'aria un lunghissimo lavoro. Anche stavolta mi sento da medaglia, non ho problemi a dirlo. E una medaglia individuale ad Atene per me avrebbe un valore enorme». Una medaglia a 32 anni, non al tramonto, ma certo dopo aver provato ed anche assecondato per un po' la tentazione di mollare tutto. «Non mi divertivo più. Pensavo di smettere. Ho lasciato per un mese e mezzo, e quella sosta mi ha fatto capire tante cose. Ora posso dire che è stata un bene. Quando avvertirò di nuovo la mancanza di allegria, lascerò per sempre. Spero di rimanere in Nazionale come allenatore, credo di averne i mezzi e le qualità». Cerca una medaglia che trascinerebbe l'intera squadra italiana e la nutrita pattuglia di napoletani presente fra i convocati, perché Gigi Tarantino sarà il primo di loro ad andare in gara. Così vuole il calendario. Almeno non ci sarà tempo per far aumentare la tensione. Arriva, e via in pedana. «Tengo molto al senso d'appartenenza a Napoli. Quando sono all'estero, i napoletani me li vado a cercare. Quattro anni fa, a Sydney, ero seduto all'Internet Point del Villaggio a guardare le schede biografiche dei partecipanti. Cliccai sul nome Pino Maddaloni, che non avevo mai sentito prima. Lessi velocemente la sua carriera, piena di titoli italiani ed europei, e mi scappò ad alta voce: ue' , vuoi vedere che vince la medaglia d'oro? Sentii una mano sulla spalla e la voce di uno che mi disse, speriamo, se vinco ti vengo a cercare. Era lui. Gli ho portato fortuna, mi spiace molto che ad Atene non ci sia» .
Napoletano, napoletanissimo. «Impazzisco per i film di Totò e per le commedie di Eduardo. Molte le conosco a memoria. La mia preferita è un atto unico: "Quei figuri di trent'anni fa". Anche perché ha per tema un'altra mia passione, il gioco d'azzardo». E' anche molto altro, Luigi Tarantino. è un uomo sfrontato che 4 anni fa accettò di posare nudo per un calendario. «Ma si vedeva solo un tatuaggio». E' un erudito di architettura. «L'ho studiata seriamente». è un carabiniere dello Stato. «Nel primo giorno con la divisa addosso, mi portano in una camera buia e accendono un proiettore. Mi fanno vedere le foto dei più pericolosi latitanti d'Italia, e mi dicono, li vedi quelli, sono della tua città. Volevo scomparire». Ottaviano, ai piedi del Vesuvio. Tarantino viene da lì e da lì non se ne andrà. «Qualunque cosa accada, io rimango. Non c'è niente di niente, attrazioni zero, ma vivrò nella mia città». La città dei ricordi pesanti. Dove papà Antonio rimase vittima dell'incendio in casa, a poco più di un anno dalla scomparsa della mamma. Dove da bambino quasi non lo facevano uscire in strada. «Succedeva, a quei tempi. Il clima lo ricordo bene. Avevo degli amichetti di scuola che venivano accompagnati dalla scorta. Vite stravolte, vite innocenti. I ragazzi finiscono per subire gli eventi, solo i più forti e i più fortunati riescono a ribellarsi e a restarne fuori». Tarantino era nella famiglia giusta, lo sport è stato un approdo naturale. «Giocavo a calcio ed ero bravino. Non pensavo affatto di seguire i passi di mio padre». Anche Antonio Tarantino tirava di scherma. «Ma è stato un amico, non lui, a portarmi in pedana». Papà assecondava, tanto da creare una sezione sciabola al Cus Napoli, quartiere Cavalleggeri, dove Gigi è cresciuto facendo ogni giorno un bel po' di chilometri in macchina, andata e ritorno verso il Vesuvio. «Ho dovuto cambiare arma per cominciare a vincere. Avevo iniziato col fioretto, perdevo sempre al primo turno. C'erano gli estremi per lasciar perdere. Un giorno, ad una manifestazione giovanile a Salerno, danno a noi ragazzi la possibilità di andare in pedana sia col fioretto sia con la sciabola. Col fioretto mi becco la solita eliminazione al primo turno e con la sciabola vinco il torneo alla mia prima esperienza. E non dovevo continuare con la sciabola?». Certo che sì, ma il fioretto è un pallino ancora oggi. «Lo so che me lo trovo scritto sul giornale, ma qualche volta, di nascosto, quando sono solo, in palestra ci provo ancora. E' più elegante, il fioretto. Mi piace di più». Se vince l'oro, ad Atene non gli credono.
Repubblica Napoli, 7 agosto 2004
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